Taranto a rischio scontri tra chi preferisce la vita e chi il lavoro
Parafrasando il film La fabbrica di cioccolato diretto da Tim Burton con Johnny Deep attore principale, a Taranto si sta producendo il film La fabbrica dei veleni e delle contraddizioni.
Gli attori sono tanti, le contraddizioni pure. Nei titoli iniziali non si sa quali attori mettere in ordine. Certamente in tanti hanno avuto un ruolo importante nella vicenda, ad iniziare dalla classe politica che si è succeduta negli ultimi anni. Nessuno o pochi esclusi.
Tra questi molti dei nostri politici che con la faccia di bronzo partecipavano alle sfilate contro l’inquinamento e poi si astenevano o non votavano contro l’Ilva alla Regione .
I politici pugliesi hanno gravi responsabilità, compresi alcuni (molto, ma molto in alto) che hanno contato sul finanziamento delle loro campagne elettorali o contavano su quelle delle prossime politiche, spostando solo recentemente l’interesse dalle fabbriche dell’acciaio a quelle degli inceneritori.
Praticamente, è tanta l’affezione alla diossina che si sceglie di rimanere nel settore. Taranto è stato l’agnello sacrificale degli affaristi, dei politici senza scrupolo, degli immorali propagatori di fede che salvavano le anime, ma non i corpi, dei moralizzatori della carte stampata e di molti media che preferivano gli occhi bendati da banconote, piuttosto che da prosciutti.
Oggi tutta la nostra classe politica cerca di lavarsi la coscienza erigendosi paladina del lavoro, indossando i panni del benefattore di un finanziamento di alcune centinaia di milioni di euro per bonificare il nulla. Quel denaro non servirà a nulla, solo a preparare i prossimi appuntamenti elettorali, visto che a gestirlo sarà la Regione Puglia, ovvero chi ha gestito la sanità nel modo sotto gli occhi di tutti. Quel denaro può ottenere solo lo stesso effetto di un sassolino gettato in uno stagno.
Tanti paradossi e contraddizioni nel film che si sta girando a Taranto. Lo Stato che mette del denaro per tentare di bonificare i danni provocati da una azienda privata. I tentativi del Governo di delegittimare quella parte della Magistratura tarantina che ha avuto il coraggio di mettersi contro tutto e tutti. La Chiesa tarantina che non si sa da quale parte stia con le messe e le fiaccolate organizzate: da quella dei lavoratori che possono perdere il lavoro o da quella delle famiglie delle vittime?
Oggi per iniziare a bonificare questo territorio martoriato dai veleni c’è solo una strada d’uscita: fermare l’Ilva. La bonifica inizia da qui. I finanziamenti del Governo devono servire ad incentivare le aziende che vogliano investire nell’agricoltura, nella zootecnia, nella miticultura ridando le acque bonificate a tutte le migliaia di famiglie che vivevano con la produzione delle cozze tarantine.
Una pianificazione seria di bonifica negli anni può e deve interessare molti degli attuali operai delle acciaierie, prima di consegnare la nuova Taranto a quella che è la sua vera vocazione: il turismo.
Il tentativo di mantenere attivi i posti di lavoro a Taranto delle industrie siderurgiche è solo allungare il brodo di una fine inevitabile. Da anni casse integrazioni e licenziamenti sono all’ordine del giorno.
Questo Governo, i sindacati, molti politici stanno innescando pericolosamente la possibilità di scontri tra chi vuole salvare il proprio lavoro e chi la propria vita.
I quesiti sono due: a) Meglio morire di tumore che senza lavoro b) Meglio morire di fame che di cancro.
In entrambi c’è il termine morte. E’ possibile che non ci sia una terza strada? Deve essere questo il compito della politica, trovare una strada che abbia l’obiettivo di salvaguardare la vita, perché si lavora per vivere, non per morire.
Antonio Rubino