Taranto – “Storie Maledette”: le verità di Sabrina e Cosima sul delitto Scazzi dividono il web
TARANTO – E’ andata in onda ieri sera la seconda parte dell’intervista a Sabrina Misseri e Cosima Serrano – condannate alla pena dell’ergastolo dalla Cassazione per l’omicidio di Sarah Scazzi – nel programma scritto, ideato e condotto da Franca Leosini, “Storie Maledette” in onda su Rai3.
La seconda parte dell’intervista realizzata nel carcere “C. Magli” di Taranto, dove le due donne sono detenute, ha ricostruito il caso di Sarah a partire dal ritrovamento del suo cellulare fino al corpo senza vita rinvenuto nel pozzo a “Contrada Mosca” nella proprietà della famiglia Misseri.
Il ragionevole dubbio – nonostante la schiacciante sentenza di condanna all’ergastolo nei confronti di Sabrina e Cosima – assale la conduttrice nell’ascoltare la disperazione di Sabrina mentre si proclama innocente, affermare di avere il grande unico rimpianto “di non aver protetto Sarah e di essere stata superficiale nel non capire cosa stesse passando mio padre” così come la madre Cosima che definisce la propria coscienza “leggera come una farfalla”.
E’ la frase con cui la Leosini chiude l’intervista – “Sabrina, parlando con lei si resta soprattutto lacerati dall’ansia di crederle ma tormentati dal dubbio se sia giusto o sbagliato crederle. Porto con me questo tormento” – a dar voce alle inquietudini vissute dal pubblico – anche tra i più accesi colpevolisti – al termine di questo confronto.
La scena in cui si calò all’epoca dei fatti la famiglia Misseri e Scazzi, nonché la massiccia presenza dell’opinione pubblica in una cittadina piombata in un thriller nazionale, la partecipazione dei “cori” dei concittadini nella vicenda e, le testimonianze tardive e in qualche caso imprecise, ritrattate e trasognanti, oltre alla presenza di elementi probatori che si prestavano ad una duplice interpretazione – o quantomeno ad una possibile rilettura – acutizzano il senso di smarrimento dell’opinione pubblica nel capire in quale punto di questa vicenda si sia smarrita la verità e, fiction e processo, si mescolano fino a farci perdere, in quello che potrebbe essere nient’altro che il più macabro dei teatrini.
Nella “messa in scena” dei Misseri, zio Michele veste le sembianze di una Cassandra poco credibile, che tra ritrattazioni, accuse e atti di ammissione di colpa, perderà di credibilità agli occhi degli inquirenti, che accetteranno in finale, una delle sue versioni come la più verosimile per spiegare l’omicidio.
Ed è in questa realtà, o interpretazione della stessa, che questo caso resta irrisolto in alcuni suoi aspetti: in cui è estremamente difficile staccarsi dall’impatto emotivo suscitato dai 3 personaggi della famiglia Misseri, arrivando a comprendere con assoluta certezza – nonostante la sentenza di condanna – quale ruolo abbiano giocato in questa macabra vicenda di cronaca nera.
Chi dei 3 sia stato reale attore protagonista e chi, forse, sia stato “vittima delle circostanze”. Sta di fatto che quel 26 agosto – in quei 20 minuti che la Leosini sottolinea come fondamentali pilastri dell’accusa nell’arrivare ad un giudizio di colpevolezza nei confronti delle due donne – Sarah si trovasse in quella villetta di Avetrana e che lì abbia perso la sua vita.
La verità sul perché quel giorno si sia consumato un epilogo così terrificante, forse resterà chiuso nel carcere di Taranto, assieme a Sabrina e Cosima, o forse si nasconderà per sempre nelle mura della villetta di Avetrana.