Lecce- La ex chiesa degli Agostiniani ed il rito laico di una contemporaneità claudicante.
LECCE- In un’intervista di qualche anno fa, quando La7 si chiamava ancora Telemontecarlo, un sempre brillante Indro Montanelli dichiarava che gli italiani sono ammalati di contemporaneità. Non hanno un passato e perciò, aggiungeva il noto giornalista, non sono in grado di sostenere un futuro. Queste parole tornano utili per valutare meglio la recente decisione dell’amministrazione comunale leccese di destinare la appena restaurata chiesa degli Agostiniani ai matrimoni, quelli civili. Nulla contro il matrimonio tanto più quello laico. Lo iato forte è però nell’usare un luogo profondamente simbolico per una religione per destinarlo ad una cerimonia più eminentemente laica. Si rifiuta in sostanza un matrimonio davanti a dio ma le foto si fanno fra angeli e santi. A ben vedere neanche ai napoleonici, che non nutrivano molte simpatie per i “pontifici”, è riuscita una operazione del genere o ai turchi nel 1480 con la cattedrale di Otranto. Appare chiaro che qui non si vuole affrontare una questione di ordine religioso o di libertà di culto altrimenti non avremmo esordito con le parole del più laico e lucido dei giornalisti. Il problema è come al solito quello della valorizzazione dei beni culturali e della loro comprensione. Con quest’ultimo termine intendiamo proprio la necessità di collocare qualunque tipo di intervento di restauro all’interno non solo della contemporaneità, quella cui si riferiva Montanelli, ma nel solco più profondo di quella storicità di cui si fa portavoce l’edificio medesimo anche se in filigrana. Fortunatamente qualcosa sta cambiando. L’amministrazione regionale, con Loredana Capone in primis, infatti ha stabilito recentemente che i finanziamenti regionali ai restauri architettonici si concederanno a patto di avere ben chiara fin dall’inizio la destinazione d’uso dell’immobile da restaurare. Salto qualitativo enorme quest’ultimo, anche se non completo e con più di qualche rischio, perché fino ad oggi invece prima si restaurava e poi si decideva, molto crudamente, cosa mettere dentro l’edificio restaurato. Tornando al caso della chiesa degli Agostiniani e del convento annesso varrebbe la pena di fermarsi e riflettere guardandosi attorno. Si scoprirebbe così che a Lecce, città della Musica almeno per pretesa, proprio quest’ultima non ha una casa. Ed allora verrebbe da chiedersi perché l’ex convento non venga destinato ad ospitare il conservatorio musicale. Forse una ex chiesa è più naturale si trasformi in un tempio della Musica che non nel non-luogo di una contemporaneità senza passato e senza futuro e perciò decisamente claudicante e balbettante.
Fabio A. Grasso