Sanità pugliese, la grande fuga: lo spreco di milioni per curarci altrove
La Puglia è quartultima in Italia per mobilità passiva. Ogni anno centinaia di milioni finiscono in altre regioni per curare cittadini che qui non trovano risposte.
In Puglia lo chiamano mobilità passiva. Ma tradotto significa una cosa sola: chi può permetterselo si cura altrove, e la Regione paga.
Dietro quella formula tecnica c’è la storia di migliaia di pugliesi che ogni anno partono per Milano, Bologna, Verona, Genova, Torino, Roma. Partono per un intervento, una terapia, un esame. E chi non parte resta ad aspettare, a volte troppo. Perché la malattia non aspetta.
Io stesso, sei anni fa, fui costretto a farlo: andai a Verona, al Sacro Cuore di Gesù di Negrar, per un tumore al pancreas. Da quel momento è iniziata la mia battaglia giornalistica per migliorare la Sanità pubblica pugliese.
Già, mi hanno salvato la vita. Ma non voglio raccontare la mia storia — voglio raccontare la nostra: quella di una regione che da anni paga per la propria inefficienza.

I numeri dello spreco
Nel 2023, la Puglia ha speso 131,4 milioni di euro solo per i ricoveri di pugliesi curati in altre regioni. Aggiungendo visite, diagnostica e ambulatori, la cifra sale a circa 337 milioni di euro. In cambio, la mobilità attiva — cioè i cittadini di altre regioni che vengono a curarsi qui — porta nelle casse regionali appena 138 milioni di euro. Il saldo è negativo per quasi 200 milioni.
Duecento milioni che ogni anno volano via dalla Puglia per finanziare la sanità di Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana. Soldi che potremmo usare per assumere medici, ridurre le attese, comprare TAC e rinnovare reparti.
Ma, ironia della sorte, TAC ed attrezzature varie le abbiamo già comprate ed il Governatore Emiliano ne sa qualcosa.
Già, perché negli anni milioni sono stati spesi per attrezzature che poi — come documentato dalle inchieste televisive, persino dalle Iene — sono finite negli scantinati degli ospedali, mai usate, impolverate o addirittura vendute come ferrovecchio.
Questa è la differenza tra chi investe e chi spreca: il Nord cura, noi accumuliamo macchinari arrugginiti nei magazzini.
Quartultimi in Italia
Secondo i dati nazionali più recenti, la Puglia è quartultima tra le venti regioni italiane per mobilità passiva. Un risultato drammatico, che smentisce la propaganda di una sanità “di qualità”. Perché se la qualità fosse reale, i pugliesi non partirebbero.
Il problema non è la bravura dei medici, ma la politica, che gestisce la sanità come un bottino di potere e non come un diritto dei cittadini.
Una sanità che costa tanto e rende poco
Oggi la sanità assorbe oltre l’80% del bilancio regionale: su circa 10,7 miliardi di euro, 9 miliardi servono a tenere in piedi il sistema sanitario pugliese. Ma i risultati non si vedono.
Reparti sotto organico, macchinari obsoleti, liste d’attesa infinite, pronto soccorso in tilt. Ogni euro speso sembra scomparire nel buco nero della burocrazia, non nei reparti.
La differenza con il Nord non è una leggenda: è organizzazione, metodo, responsabilità. Dove il cittadino è al centro, la sanità funziona. Dove la politica comanda, la sanità si ammala.
Un tempo la Puglia curava gli altri
C’erano anni in cui la Puglia attirava pazienti da fuori e faceva mobilità attiva. All’Ospedale “Moscati” di Taranto, ad esempio, sotto la guida del dottor Patrizio Mazza, arrivavano malati non solo da tutta l’Italia. Era un’eccellenza.

Oggi non più: il “Moscati” è diventato simbolo di una sanità che resiste più per dovere che per orgoglio. E con lui, tante altre strutture hanno perso appeal, fiducia e capacità di attrazione. La nostra mobilità attiva è quasi scomparsa. E con essa, la speranza.
Chi paga davvero
Non sono i politici. Pagano i cittadini. Pagano i malati che viaggiano, quelli che restano in attesa, e anche quelli che non hanno i mezzi per spostarsi. Pagano con le tasse, con la pazienza, con la paura. La mobilità passiva non è solo un numero nei bilanci: è la misura della sfiducia dei pugliesi nel loro stesso sistema sanitario.
Serve una rivoluzione culturale, non solo sanitaria
Non bastano più conferenze stampa e slogan. Serve programmazione, controllo, merito, trasparenza. Serve un sistema che premi chi funziona, che tagli il superfluo e che reinvesta ogni euro risparmiato nella sanità vera.
Ridurre la mobilità passiva anche solo del 20% significherebbe liberare decine di milioni da investire qui, in Puglia. E allora sì, potremmo tornare a dire che la salute è un diritto, non un biglietto ferroviario per il Nord.
Ma se invece del buonsenso prevarrà la disputa partitica, rimarremmo attaccati ai social nelle dispute quotidiane
Antonio Rubino è giornalista, editore e direttore del Gruppo Puglia Press e de La Voce del Popolo. Esperto di comunicazione e organizzatore di grandi eventi, ha collaborato anche con la RAI. Leggi la biografia completa




