L’ex Consigliere di Stato Francesco Bellomo non potrà più indossare la toga, destituito
L’ex Consigliere di Stato Francesco Bellomo non potrà più indossare la toga, destituito La vicenda è quella nota del dress code imposto ad alcune corsiste (minigonne e tacchi a spillo) per cui Bellomo era finito sotto inchiesta a Bari ed era stato inizialmente arrestato, poi destinatario di una misura interdittiva che gli ha impedito l’attività di insegnamento per un anno.
I fatti contestati risalgono a un periodo compreso tra il 2014 e il 2018. Condotte commesse, secondo l’accusa, in danno di quattro corsiste che frequentavano la sua scuola di formazione `Diritto e Scienza´.
Si sosteneva che Bellomo avesse imposto dress code, prove di addestramento arrivando a controllarne i profili Facebook.
Il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso dell’ex Consigliere di Stato Francesco Bellomo, confermando la decisione del Tar Lazio di destituirlo.
Il Consiglio di Stato ha motivato il ricorso: «la sussistenza dell’attività scorretta contestata e la consapevolezza della idoneità della condotta a ledere l’onore e il prestigio della magistratura».
Francesco Bellomo, direttore scientifico della scuola di preparazione al concorso in magistratura «Diritto e Scienza» che ha sede a Milano, Roma e Bari, non potrà più indossare la toga.
Il Tribunale adito ha respinto il ricorso dell’ex Consigliere di Stato contro il decreto di destituzione, previo esame, seppure sintetico, di tutte le questioni procedurali e di merito afferenti al procedimento disciplinare intentato nei suoi confronti.
I giudici della VII sezione di Palazzo Spada, hanno evidenziato che si applicano ai magistrati amministrativi, le norme previste per i magistrati ordinari in materia di sanzioni disciplinari e del relativo procedimento.
“Il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta tale, che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario, è soggetto a sanzioni disciplinari”.
«L’immagine stessa del magistrato, si legge nelle 113 pagine della sentenza, evoca un modello ideale, rispettoso dell’insieme dei doveri che ne definiscono gli schemi comportamentali e affidatario della tutela dei diritti di ogni consociato; pertanto i magistrati, particolarmente, sono tenuti a conformare oggettivamente la propria condotta ai più rigorosi standard di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio». Quello che, secondo il Consiglio di Stato, Bellomo non avrebbe fatto.
«L’essere consigliere di Stato ha costituto per Bellomo, il perno della pretesa di legittimità della sua condotta e, quindi, della pretesa di specifici comportamenti da parte delle borsiste, di cui l’ex magistrato avrebbe leso dignità e diritti fondamentali».
I concetti di lesione del prestigio e della fiducia, sono al centro della condotta messa a fuoco.
Emerge chiaramente, ed è stata provata, una condotta umana del protagonista poco ortodossa e senz’altro discutibile per un magistrato, quanto sul percorso giuridico seguito dai Giudici per rendere conforme al contesto ordinamentale vigente in materia di sanzioni, l’applicazione di una “misura” lavorativa espulsiva conseguente alla contestazione di un illecito chiaramente atipico.
Trattasi di condotte che, nella loro essenza paradigmatica, come tale riproducibile quale clausola generale di comportamento da tenersi fuori dall’ufficio, richiamano la necessità per il magistrato di mantenere nella vita di tutti i giorni, anche fuori dal contesto lavorativo, una maggiore prudenza rispetto al consociato “medio”, sia nell’ostentare e utilizzare abusivamente la propria qualifica che nel manifestare apertamente le proprie propensioni caratteriali “peggiori”.