Femminicidio e violenza di genere, una piaga inarrestabile. L’ultimo rifugio degli incapaci
Femminicidio e violenza di genere, una piaga inarrestabile. L’ultimo rifugio degli incapaci La violenza contro le donne è il lato oscuro della storia, ma si fatica ancora molto a riconoscerlo.
La libertà delle donne ha cambiato faccia alla nostra società. L’Italia di oggi è un’altra rispetto anche solo a cinquant’anni fa, facendo saltare le distinzioni tra sfera pubblica e sfera privata.
La rivoluzione femminile è stata l’unica rivoluzione pacifica e non fallita del Novecento, con delle conseguenze ed un prezzo altissimo da pagare. Le reazioni a questa rivoluzione si portano dietro una lunga scia di sangue.
La Convenzione Istanbul ratificata dall’Italia con la legge 77/2013, ci ha messo sulla via giusta. Sì, la Convenzione non solo afferma che la violenza contro le donne è una lesione dei diritti umani, e ci si potrebbe chiedere perché sia stata necessaria una carta ad hoc per affermarlo, ma la riconduce alla sua matrice originaria: il rapporto tra i sessi, la disuguaglianza che permane, il riconoscimento della libertà delle donne.
Per contrastarla, la Convenzione afferma che bisogna agire simultaneamente in tre direzioni: prevenzione, protezione e repressione, ma si continua a parlare di: “barbaro omicidio”, “raptus”, “delitto passionale”. La scia di sangue è inarrestabile.
La violenza contro le donne, come dimostra il suo drammatico ripetersi, è una questione pubblica e politica, oramai. L’Italia secondo l’indice di uguaglianza di genere 2024, ha recuperato terreno rispetto all’Europa da molti punti di vista, ma contro la violenza sulle donne resta ancora molto da fare.
I dati, o se vogliamo “numeri della vergogna”, in possesso del Ministero dell’Interno sulla violenza alle donne sono allarmanti.
Anche la Puglia, in queste tragiche statistiche, conta le sue vittime. Secondo il Viminale ad oggi si contano 18 femminicidi nella regione, di cui le ultime due vittime in Salento e a Roma, donne ammazzate in ambito familiare o affettivo; donne che hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner.
Aneta Danelczyk, 50 anni, originaria della Polonia, è morta a Taurisano, nel Leccese, per le coltellate inflittele dal marito. Li Xuemei, 37 anni, è stata uccisa a Roma dal marito con una coltellata mentre era in casa davanti la figlia di 5 anni.
E poi ci sono le violenze sessuali che contano numeri importanti, senza riferirsi al cosiddetto “numero oscuro”, rappresentato dalla miriade di episodi di soprusi e violenze che subiscono le donne e che non vengono denunciati alle autorità per paura, pudore, sudditanza, ma che chiariscono quanto sia diffuso in Puglia e in Italia, un fenomeno che riflette il retaggio arcaico che vuole la donna succube del maschio.
Alla luce dei recenti fatti che hanno occupato le cronache dei giornali, ossia le violenze di gruppo perpetrate da giovanissimi nei confronti di coetanee, le continue morti di donne e tanti altri episodi di abusi e violenze ai danni di minorenni emersi, si richiama prepotentemente l’attenzione di tutte le forze sociali e istituzionali, sul triste fenomeno della violenza di genere.
I dati di questi tre mesi del 2024 ne ribadiscono il trend in costante e continua ascesa, da qui la gravità e l’urgenza di intervenire con maggiore efficacia per contrastare questa aberrazione che va estendendosi soprattutto verso le fasce giovanissime e non di popolazione.
Ancora una volta una donna, ancora una volta colpita a morte! Aneta della quale gridiamo l’ultimo urlo di dolore e della quale non conosciamo neppure il numero che la sorte le ha assegnato in questa terribile mattanza femminile, della quale improvvisamente abbiamo conosciuto un volto nello stesso tempo tolto alla vita.
Di lei, come per tutte le donne, violentemente sottratte al mondo, il dato statistico è un “bollettino di guerra”.
E’ giunto il momento di costituire ed implementare tutti i settori pubblici diretti a promuovere, osservare e recuperare il rispetto di genere, e ciò al fine di affermare politiche sociali e culturali dirette a vincere l’incultura della sopraffazione della forza fisica sulla cultura della ragione e del rispetto dell’essere umano.
La discussione dovrebbe accentrarsi sulla riflessione che, oltre alle norme a tutela e protezione delle vittime di maltrattamenti e abusi, è quanto mai necessaria una vera e profonda rivoluzione culturale che parta dall’educare i bambini e quindi i giovani e le famiglie, al rispetto e alla parità tra i sessi e al superamento definitivo della logica del patriarcato ancora latente.
Bisognerebbe condannare l’atto di abuso o violenza senza se e senza ma, finchè l’opinione continuerà a colpevolizzare la vittima per come possa essere vestita o per come si sia comportata, vuol dire che ancora si è lontani dal superamento della logica maschilista e molto si deve ancora fare.
Bisognerebbe continuare a promuovere maggiore uguaglianza tra i sessi al fine di costruire una società più paritaria e più equa che, fornisca a tutti e a tutte gli strumenti per sviluppare le proprie potenzialità e raggiungere i traguardi professionali ed economici ambiti, senza impedimenti ed ostacoli dovuti a stereotipi o pregiudizi.
Un costo sociale altissimo a fronte del quale l’unico “antidoto” è la prevenzione.
La violenza alle donne si vince solo attraverso una sempre maggiore e radicata consapevolezza.
Una cultura che si costruisce attraverso i confronti, le testimonianze.