Brindisi, una pista ciclabile che non s’aveva da fare!
La vicenda della pista ciclabile costruita, ma non ancora terminata (e chissà se mai lo sarà, se rimarrà così com’è ecc.) a Brindisi, sul centralissimo viale Aldo Moro, dimostra in questo caso non tanto un male storico delle opere pubbliche finanziate in Italia, che non ha davvero più bisogno di ulteriori dimostrazioni (quello dei ritardi, per tacere di altro, ai quali esse vanno incontro nel loro iter realizzativo) quanto piuttosto i danni che possono provenire se l’ideologia e l’astrattezza prevalgono sul realismo e sulla concretezza.
La scelta di realizzare la suddetta infrastruttura è derivata a seguito dell’intercettamento da parte del Comune di Brindisi, all’epoca guidato da una giunta di centro-sinistra, di un finanziamento contenuto in un bando Ministeriale relativo al “Programma di incentivazione della mobilità urbana sostenibile” (PRIMUS), risalente al 2020. L’opera, che non è stata mai ultimata, nonostante i tempi per la consegna definitiva fossero fissati al mese di frebbraio del 2023, consiste di due carreggiate ciclabili, poste al centro della sede stradale, separate da aiuole e spazio pedonale. In virtù del forte ritardo accumulato nello svolgimento dei lavori rispetto ai tempi stabiliti, la nuova amministrazione comunale di centro-destra ha provveduto a rescindere il contratto con la ditta aggiudicatrice dell’appalto. A complicare il quadro, come ha spiegato l’assessore ai Lavori Pubblici Gianluca Quarta, la possibilità di esporre le casse comunali ad un danno erariale non ancora quantificabile nel caso in cui l’opera non venisse portata a compimento.
Il risultato concreto di questo abbozzo di opera è stato tuttavia un disastro, dal momento che il ridotto spazio sulla carreggiata destinata al traffico automobilistico determina, specialmente nelle opere di maggior traffico veicolare, autentici ingorghi, col risultato esattamente opposto a quello auspicato: quello di rallentare la circolazione dei veicoli a motore, facendo aumentare, invece che ridurre, le emissioni.
Il problema, tuttavia, sta ancora più a monte, e precisamente nel voler cercare di impiantare, forzando anche la logica e la geometria, modelli calati dall’alto, siano essi costituiti dalle città del nord Italia, dove la cultura della bicicletta è da sempre enormemente più radicata che nel Meridione, o del nord Europa. Costruire piste ciclabili in un centro cittadino richiede spazi urbanistici che non si possono improvvisare, se non ci sono, perché il risultato conseguente sarà quello poi, paradossalmente, di rendere ancora più estranea la bicicletta agli occhi di chi non ha mai avuto modo di apprezzarne le straordinarie qualità, come mezzo di trasporto o come mezzo per fare sport. Costruire piste ciclabili che non siano perfettamente integrate in circuiti ciclabili, soprattutto, rischia di portare a realizzare le classiche “cattedrali nel deserto”, che restano inutilizzate quando non sono dannose per il resto della viabilità. A Mesagne, a pochi km dal capoluogo, esistono ancora i resti di una pista ciclabile costruita attorno al 2005, sulla via principale del paese, di nessunissima utilità concreta per le bici ed anzi, anche in quel caso, di solo fastidio al traffico automobilistico. Come ciliegina sulla torta essa terminava, e termina tuttora, sulla parte laterale di un’abitazione.
Vanno quindi benissimo le piste ciclabili, ma costruite su tratti delle periferie urbane, dove gli spazi lo consentono, per non parlare delle arterie extraurbane, dove noi (e sottolineo il pronome personale, essendo parte della categoria) ciclisti siamo costretti a mettere a rischio la nostra incolumità per praticare questa bellissima disciplina sportiva. La viabilità sostenibile si costruisce certamente con l’educazione stradale, che in Italia è a un livello infimo, ma anche con investimenti che abbiano un senso: mettere in sicurezza le strade extraurbane, per tutte le categorie di utenti ovviamente, richiede un livello di investimenti significativo, ma che alla lunga sarà ripagato, sia in termini di crescita economica, sia in termini di salute collettiva, sia in termini di valorizzazione del territorio. Da questo punto di vista, ci pare invece che le lamentele campanilistiche del nostro territorio si fossilizzino su aspetti marginali, come l’arrivo della linea ad alta velocità fino a Lecce, piuttosto che sulle messa in sicurezza della viabilità ordinaria, che lascia moltissimo a desiderare. Arrivare a Lecce da Milano mezz’ora prima sarà o no meno grave che rischiare di non arrivare proprio a destinazione, muovendosi in auto, non solo in bici, sulle nostre strade?