Informazione 2.0, quasi 3.0
Come le scoperte di un bambino.
Pensando ad editori e giornalisti, penso ai bambini.
Anni fa proprio loro (gli editori, non i bambini) si gettarono a capofitto in quel modello di business “social-friendly” individuato come sicuro e vincente, una gallina dalle uova d’oro, che nel tempo portò i suoi frutti: i like, la visibilità, i click…il rimanere a galla.
Se analizzassimo come, nel corso degli anni, il mondo del giornalismo e dell’editoria tutta sia cambiato radicalmente, molta della “colpa/merito” la potremmo imputare a quei luoghi virtuali, oggi agorà di pubblicazione, condivisione e dibattito, che piano piano hanno sostituito, scavalcato le home pages a favore di un sistema d’informazione più “push”.
In principio newsletter, poi aggiornamenti RSS,i vari Flipboard, Google Edicola, Apple News: i tentativi, peraltro vani, ci sono stati. I veri protagonisti invece, capaci di stravolgere più di tutti questo universo prima dominato dalla carta stampata, sono stati social come Twitter, Facebook, è in scala inferiore Google+, che, non solo hanno contribuito ad una maggiore digitalizzazione dell’informazione, ma anche ad accrescere la qualità della stessa, dapprima caratterizzata da uno scarso profilo con una netta differenza rispetto alle edizioni fisiche.
Credo sia stato questo che, tra un’acquisizione e l’altra, abbia portato il sig. Zuckerberg a mettersi in testa di poter cambiare le regole del suo stesso gioco.
“News tramite Messenger”: se vogliamo nulla di nuovo, una soluzione già vista da “competitor” quali Snapchat e Telegram, che però ha dalla sua non solo la ben più vasta diffusione (si parla di 800 milioni), ma una precedente integrazione, tra le più significative, eppure largamente trascurate dai più, e questa prende il nome di Instant Articles.
Senza entrare nel tecnico, una cosa che vi voglio risparmiare per non cadere nel noioso, gli Instant Articles si propongono come obiettivo quello di portare la news ad un livello ben più alto, donandogli più leggibilità, reattività, interazione e integrazione. Se prima, toccando una news, venivamo reindirizzati alla sua corrispettiva pagina del suo corrispettivo sito web, ora è tutto integrato nel social stesso, quasi privandosi del caricamento. Magia.
A quanto pare una funzione che presa singolarmente mira ad ottimizzare i tempi ma che nasconde un processo che, strizzando l’occhio a Netflix, vuole trasformare Facebook da distributore a produttore.
Perché? Perché dando l’accento ad una scala gerarchica piuttosto ferrea, la notizia, l’editore, la testata piano piano ha iniziato ad aver bisogno di una sponsorizzazione, resa possibile attraverso il pagamento di inserzioni, e questa fu, a conti fatti, una letterale resa degli editori verso un social che ormai stava assumendo sembianze sovrumane, la cui metamorfosi è ancora lontana dall’arrestarsi. In altre parole, la macchina Zuckerberg divenne il solo mezzo di propagazione della notizia, e, cosa ben più importante, ora, diviene un vero e proprio editore, fornendo regole, mantenendo in vita testate ormai prive di personalità e riconoscibilità e, ovviamente, arricchendosi.
Continuando così non è poi così tanto difficile immaginarci paganti di servizi volti ad una informazione, ad una news, di qualità, come già succede con cinema e musica, “combattenti” quotidianamente un’informazione spazzatura, invasiva ed onnipresente.
La soluzione? Magari uscire dalle logiche social. Magari facendo un passo indietro e riacquistare l’identità persa. Magari non tingendosi di Blu.
Andrea Flemma