Brindisi- “Giovanna non si è suicidata”. Del caso Tafuri Lupinacci se ne occupa il team Bruzzone
SAN PIETRO VERNOTICO- Per la Procura di Verona, Giovanna Tafuri Lupinacci, la giovane donna originaria di San Pietro Vernotico ritrovata senza vita il 9 settembre del 2011 nelle griglie di un canalone nei pressi di San Martino Buon Albergo, a Verona, si sarebbe suicidata. La madre, Antonia De Luca, è fortemente convinta che la figlia invece sia stata uccisa. Dopo tre richieste di riapertura delle indagini puntualmente respinte, del caso adesso se ne occuperanno le criminologhe Roberta Bruzzone e Isabel Martina, alle quali la signora De Luca e il suo avvocato, Alessandro Paladini, hanno già formalmente demandato l’incarico.
“Ci muoveremo su tutti gli elementi in nostra disposizione per ricostruire persone circostanze e luoghi che ha frequentato Giovanna, nei mesi antecedenti la sua tragica morte.” dice la criminologa Isabel Martina. “Se necessario ci recheremo a Verona per ascoltare chi di Giovanna può raccontarci qualcosa che sa e non ha mai detto.”
Giovanna, 44 anni, sposata e con un figlio, soffriva di depressione ed era in cura da uno psicologo. Si è allontanata da casa con la sua bici il 26 agosto del 2011 e il suo corpo è stato rinvenuto nelle griglie di una diga idroelettrica 15 giorni dopo, in un luogo lontano 20km da casa, raggiungibile superando un tratto di autostrada. La bici come il suo cellulare non sono mai stati ritrovati. Stando ai verbali, sul suo copro non fu disposta un’autopsia, ma un’ispezione esterna che non fece riscontrare “lesioni macroscopicamente apprezzabili che possano indicare una causa di morte differente dall’annegamento e riconducibile ad azione violenta di terzi”. Tanto è bastato dunque per archiviare le indagini. Successivamente, dopo i funerali, è stata accordata anche la cremazione del corpo.
“L’assenza del corpo e’ un elemento che gioca a nostro sfavore- continua a riguardo l’esperta. – Certo e’ che se si continuano a trovare corpi e a chiudere i casi come suicidio senza approfondire, ci troveremo sempre di fronte a più e più richieste come quella della signora Antonietta. Il cadavere può essere un elemento ostativo ma non può ostacolare la nostra ricerca di verità. Ricordiamo che per il delitto della Piscaglia, padre Gratien è stato condannato pur in assenza del corpo della povera Guerrina.”
Antonia non si è mai arresa. Per sette anni è stata la sola a chiedere verità e giustizia per sua figlia. Era al corrente di progetti anche imminenti che riguardavano la vita di Giovanna e che potrebbero escludere di fatto l’ipotesi del suicidio. Ha tentato per tre volte di riaprire il caso, snocciolando sospetti, fornendo ai magistrati nuovi spunti investigativi. Con lettere e appelli, anche in tv, si è perfino rivolta alle persone che conoscevano Giovanna e che potrebbero ancora aiutarla a fare luce sulla sua morte.
“Sono convinta- dice Antonia- che qualcuno conosce la verità sulla morte di mia figlia e mi vorrebbe aiutare a trovare i responsabili, ma allo stesso tempo ha paura di rimanere immischiato in una vicenda che, in fondo, non gli riguarda.”
La dottoressa Martina lancia quindi l’appello: “Siamo sicuri che ci sono persone che custodiscono i segreti di Giovanna. L’appello è che chi sa, chi la ricorda, chi con lei ha trascorso gli ultimi giorni, ce li racconti. Qualcosa che per altri può risultare banale per noi potrebbe essere determinante. Chi conosceva Giovanna, parli.”