Taranto – Piero sa di non poter guarire, ma vorrebbe poter guardare il mare «Fateci avere la forza di combattere attraverso la speranza di vivere»
Se c’è una cosa che spaventa le persone ammalate, è la paura di cadere nell’oblio. Di essere dimenticate, la paura di rimanere soli nella propria malattia. Non è semplice paura della solitudine, ma timore di restare estranei da tutto ciò che li circonda. Il primo assioma della comunicazione dice che “è impossibile non comunicare”. Piero Pizzi ha 53 anni e comunica con gli occhi, attraverso un comunicatore oculare. Da 3 anni a questa parte non può più parlare a seguito di una tracheotomia, praticatagli a causa della malattia con la quale lotta dall’ottobre del 2009: la SLA, o malattia dei motoneuroni. Si tratta di una malattia neurodegenerativa rara che porta alla perdita progressiva e irreversibile di tutte le funzioni motorie, oppure di funzioni come la deglutizione, e della parola. Il percorso di Piero è stato abbastanza veloce. Piero aveva all’epoca 46 anni, era un geometra e si occupava della sua piccola impresa edile, grazie alla quale portava avanti la sua famiglia: sua moglie Rosanna, e i loro due figli, oggi di 25 e 19 anni. La diagnosi arriva dopo un incidente: Piero cade e riporta un grave trauma cranico. «Da quel trauma cranico sono sopraggiunte molte complicazioni, emorragie e gravi lesioni – ci racconta sua moglie Rosanna Lochi – aspettavamo che si riprendesse, invece più si andava avanti, più le cose peggioravano». La guarigione dopo l’intervento non arriva. Piero inizia ad assumere una strana postura, inizia ad accusare tremori, fascicolazione alle braccia, e cade molto spesso. Inizia così a fare alcune indagini, e nell’ottobre del 2009, al “Perrino” di Brindisi arriva la diagnosi: Sclerosi laterale amiotrofica. Da quell’ottobre inizia l’odissea di Piero e della sua famiglia. La vita che inizia a scorrere tra le sue mani, e il tempo che passa con una velocità crudele.
A distanza di un anno nel 2010, Piero perde l’uso delle gambe e finisce in carrozzina; dopo due anni, nel 2012, a causa di una e complicazione, gli viene praticata la tracheotomia e perde l’uso della parola. Oggi Piero vive attaccato ad una macchina, alimentato con la PEG, e respira con la ventilazione artificiale. Sua moglie non lavora e l’unica fonte di sostentamento per la famiglia è l’indennità di invalidità civile e un assegno che la Regione Puglia eroga alle persone affette da malattie gravi. La Asl provvede agli ausili, come macchinari, letto, carrozzina, ma i medicinali sono a carico della famiglia. La famiglia Pizzi, di Manduria, è in grosse difficoltà, ma non solo economiche. Per avere maggiori confort, sono stati costretti a cambiare casa, per permettere a Piero di avere una stanza abbastanza spaziosa, luminosa e arieggiata. Rosanna sua moglie, si occupa di lui h24. «Non ho nessun tipo di aiuto. L’Asl da gennaio ha anche eliminato l’Oss, e adesso provvede il comune mandandone uno per un’ora al giorno. Mi è toccato assumere e pagare una signora che viene ad aiutarmi per tre ore al mattino. Il tempo che mi serve per uscire a fare la spesa o andare dal dottore per le sue medicine. Sono sola nel nostro dramma». Rosanna non vuole far pesare la situazione sui suoi figli, un ragazzo di 25 anni e una studentessa d i 19 anni, già costretti a crescere in fretta dinanzi al decadimento del proprio padre. Piero non può uscire. È costretto a vivere in casa, poiché un mezzo adatto per trasportalo ha dei costi che la famiglia non può sostenere. «Tutto il suo mondo gira intorno a Facebook» ci dice sua moglie. In effetti il social network, è per Piero l’unica via di uscita, l’unico modo per comunicare con qualcuno. Lì Piero si confronta con altre persone affette dalla sua stessa patologia, e lì Piero ha appreso che la speranza risiede nel trapianto di cellule staminali all’estero, ma il tutto ha costi che oscillano intorno ai 25.000 euro. Non si parla di guarigione, ma di semplice speranza, e per un malato la speranza è vita, è cura. Piero vorrebbe vedere il mare, odorare la brezza, godere di nuovo dopo sette anni, dello spettacolo del sole all’alba e al tramonto. Piero vorrebbe vivere la sua condizione di malato con dignità. «Il nostro grande scopo è solo uno – ci scrive Piero, anzi ci dice attraverso i suoi occhi – Far sentire il nostro silenzio come il più grande e perpetuo fragore. Che giunga alle Istituzioni adesso e per sempre, la rivendicazione di esistere con tutti i nostri problemi e giunga il nostro lamento di lentezza sanitaria in un mondo che viaggia a mille chilometri orari. Noi siamo più di quanto voi crediate, e sono sicuro di essere il portavoce di tantissimi malati che condividono esattamente il mio stesso pensiero». Piero ci parla di un decadimento psicologico, quello che sopraggiunge quando la sua condizione gli fa credere di essere un peso per i suoi congiunti, quegli stessi congiunti – sua moglie e i suoi figli – che cancellano in un attimo questo suo stato d’animo restituendogli la voglia di lottare, di far valere le proprie ragioni con la sua forza mentale. Un malato e la sua famiglia sono condannati a quello che avviene giorno dopo giorno. Rosanna è stanca, ma non molla, e resta in prima linea al fianco di suo marito. «Vorrei renderlo felice e portarlo fuori – ci spiega – ma un mezzo adatto costerebbe troppo. La Asl qui a Manduria ha un mezzo del genere, potrebbe metterlo a diposizione volendo, di quanti ne hanno bisogno, anche a giorni alterni». La comunità di Manduria è sempre stata molto vicina e sensibile alle problematiche della famiglia Pizzi, aiutando la stessa anche con donazioni benefiche. Ma ancora una volta, ahinoi, siamo di fronte ad un caso a cui il territorio non sa garantire nulla. La “lentezza sanitaria” di cui ci scrive Piero, è proprio il non riuscire, come territorio, a far fronte alle esigenze dei pazienti affetti da malattie neurodegenerative. Come se la vita di un malato potesse esaurirsi nel mondo virtuale dei social, dove dai confronti con altri malati, emergono differenze abissali da Regione a Regione. Come se la speranza fosse considerata inutile. Invece non lo è, perché la differenza tra speranza e illusione sta nel coraggio, nella forza. Nella forza di combattere attraverso la speranza di vivere.
Elena Ricci – dal Settimanale PugliaPress