Retromarcia del Governo: Centrale di Cerano-Brindisi sud verso il congelamento fino al 2038

Per molti mesi è stato un punto assodato nel dibattito sul futuro industriale ed occupazionale di Brindisi: il 31 dicembre 2025 avrebbe rappresentato la fine ufficiale della Centrale Enel a carbone “Federico II” di Cerano, stante il fatto che quella ufficiosa è già arrivato da tempo, e l’imponentissima infrastruttura messa in pensionamento già da un anno e mezzo.
Questo ha implicato una forma d’ansia considerevole, non tanto per i lavoratori diretti di Enel, i soli ai quali l’azienda aveva assicurato il mantenimento del posto di lavoro, quanto per le realtà dell’indotto, varie centinaia di dipendenti, per i quali si prospettava un futuro pieno d’incognite. Anche per questo motivo, era stata creata un Tavolo apposito presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy, il quale aveva aperto un bando aperto a realtà industriali che volessero cimentarsi in progetti di reimpiego della vastissima area che si sarebbe andata liberando, con la dismissione della Centrale.
Il bando ha raccolto più di 40 proposte, fra cantieristica, rinnovabili, e le più varie proposte di carattere tecnico-ingegneristico, allo scopo di prospettare possibilità nuove per l’indotto della Centrale ma anche certamente per tutto il territorio circostante.
Proposte ancora al vaglio della politica, ma la novità, che pure si annusava ormai da qualche mese, è che il Parlamento ha approvato un Ordine del giorno, presentato da Azione e sottoscritto anche da Forza Italia, su iniziativa del Deputato brindisino Mauro D’Attis, che procrastina di ben 13 anni la chiusura definitiva della Federico II ed anche della Centrale di Civitavecchia, con un intento cautelativo si legge nel provvedimento, al fine di non lasciare scoperto il fianco dell’Italia rispetto ad eventuali crisi di approvvigionamento energetico che dovessero esserci nei prossimi anni, a seguito degli scenari geopolitici non prevantivabili.
Questo determinerà il congelamento nell’immediato di queste due grandi realtà, ma con la prospettiva di poterle rendere in ogni momento operative, per produrre 30 terawatt all’anno a disposizione del sistema industriale italiano. Nel frattempo, si renderà possibile per l’Italia, qualora lo si decida, anche la possibilità di poter disporre dei reattori nucleari di nuovi generazione, per poter variare un piano energetico che altrimenti dovrebbe vivere solo sulle rinnovabili.
Enel ha fatto sapere intento che la produzione di energia per mezzo del carbone è un’attività economicamente in perdita allo stato attuale dei costi, e che l’eventuale ripresa di produzione a Brindisi e a Civitavecchia necessiterebbe di ristori da parte dello Stato.
Ma soprattutto, la frenata del Governo ha molto indispettito il centrosinistra a livello locale, che ha accusato il Governo di porre nuovamente Brindisi come agnello sacrificale delle politiche industriali del Paese, assieme a quanto si va prospettando anche a Taranto, con una decarbonizzazione che il mondo delle associazioni cittadine vorrebbe totale, fin da subito, e che non vede di buon occhio, per usare un eufemismo, neppure la riconversione a gas allo studio dell’ex ILVA.
Nei piani del Governo non ci sarebbe in realtà intenzione di accantonare le progettualità già presentate al ministero delle Imprese per l’inizio di nuove attività industriali nell’area posta nelle vicinanze della Centrale, ma solo quella di non precludersi nel frattempo, prima che esse vedano la luce o prima che si chiariscano anche situazioni internazionali più complesse, un riutilizzo della stessa, ha spiegato D’Attis.




