Musica e Cooltura. La Ferrari ed il sacchetto di cemento: un storia italiana.
In questi ultimi due anni almeno si è avviato quello che secondo alcuni è un cambiamento epocale nel campo dei Beni Culturali e del loro uso. L’obiettivo principale è valorizzare i monumenti (e su questo nulla di nuovo, nulla di male) recuperando i denari per i restauri e non solo. Tutto giusto e molto bello si potrebbe dire solo che, in questi ultimi anni appunto, ne stiamo vedendo di tutti i colori. Ormai il vaso di Pandora è aperto e sul fondo ci troviamo anche il palco per il concerto di Bocelli nel Foro romano di qualche giorno fa. Non vi sono ragioni particolari per cui questo concerto debba tenersi proprio lì però “fa figo” anzi è “cool” ed è l’unica parola che potrebbe adattarsi meglio al caso. Di fatto alla base di questa nuova tendenza, di questo nuovo “gusto” del tutto sempre, ovunque e comunque c’è una sorta di ingenuità. E’ quella del primitivo, quasi mitologico, che ha un oggetto sconosciuto per le mani e non sapendo proprio cosa farne lo usa in funzione della cultura e conoscenza che ha (bella, brutta, tanta o poca che sia). Ecco, proprio di cultura parliamo anzi forse “cooltura”. Tutto questo fa venire alla memoria gli anni del boom edilizio, quello brutto, distruttivo, disgiuntivo della bellezza, anestetico, irregolare, illegale, quello poi dei mille e mille condoni. Affiliati a questo fenomeno, un po’ burino e un po’ cialtrone, nelle lande più disparate del Belpaese si aggiravano “muratori, o meglio gente di cantiere con la terza elementare” che l’abuso edilizio aveva trasformato in imprenditori, architetti, ingegneri ma anche in milionari. Ecco allora che quei raffinati abusivi della fabbrica acquistavano i simboli per eccellenza del lusso come ad esempio le Ferrari, le famigerate rosse, sogno di tanti italiani. Ed allora molte città, grandi o piccole, cominciarono a popolarsi di bolidi con il sacchetto di cemento sul cofano o sulla cappotta. Un nuovo simbolo di status quello così come lo è la cena organizzata sempre nei giorni scorsi all’interno del Colosseo per festeggiare la fine dei lavori di restauro del monumento. Ovviamente in quest’ultimo caso non erano ammessi gli abusivi fabbricatori di un tempo ma la nuova classe dirigente con i loro titoli altisonanti, il clima e tono culturale era però lo stesso. I nuovi cafoni, li chiamavano un tempo, terziario arretrato in altro più recente. Qualcuno potrebbe difendere certe celebrazioni sulla scorta di un semplicistico rapporto: hanno pagato milioni e milioni di euro per fare quel restauro è giusto che il finanziatore faccia ciò che vuole. Con i soldi si può tutto e con un iperbole verrebbe da dire: un restauro così come le olgettine. La verità è che siamo tutti conniventi di quell’essere snob un po’ cafone che neanche la transitorietà degli eventi potrebbe giustificare. Siamo tutti solo degli abusivi della cultura e non ci sarà condono che possa salvarci. Viviamo intorpiditi in uno spazio anestetico.
Foto tratte da Facebook
Fabio A. Grasso