Le storie di scomparsa sono tutte uguali?

Al cospetto del caso rappresentato dalla scomparsa e poi dal ritrovamento della 27enne di Nardò Tatiana Tramacere, accompagnato da un grande battage mediatico, è lecito interrogarsi tanto sulle ragioni di tale clamore quanto sulle disparità con altri casi di scomparsa, sia pur molto lontani nel tempo, purtroppo non caratterizzati da un altrettanto forte interesse dei mezzi di informazione e da un’eguale mobilitazione.
E’ questa, ad esempio, il caso relativo alla scomparsa di Roberta Martucci, una giovane donna scomparsa una sera di agosto di ben 26 anni fa da Torre San Giovanni, marina di Ugento, suo paese di residenza. La ragazza quella sera era attesa da alcune amiche per una serata assieme, ma non giunse mai al luogo dell’appuntamento. 5 giorni più tardi, la sua automobile, una Fiat Uno, fu ritrovata parcheggiata in una strada di Gallipoli.
A chiedere di riaccendere l’attenzione su questa scomparsa è la sorella di Roberta, Lorena. Pur dichiarandosi certamente felice per il fatto che il caso della scomparsa di Tatiana si sia sciolta, come noto, in una bolla di sapone, non può non ravvisare una chiara disparità di trattamento nel confronto fra le due situazioni: “scomparire nel 2025, evidentemente, non è come scomparire nel 1999. Temo che la visibilità social e la notorietà influiscano sull’interesse di media, inquirenti e istituzioni”, ha dichiarato.
E questo è certamente vero: nell’era della comunicazione digitale, la mediaticità dei fatti di cronaca ma anche di ogni altra questione che possa interessare l’opinione pubblica, viene letteralmente potenziato all’ennesima potenza, rifranto in tantissimi post, nelle relative condivisioni di ognuno di essi, nei commenti. Per non parlare del fatto che Tatiana Tramacere è essa stessa un’operatrice dei social network, con un seguito molto elevato.
Questo ne ha potenziato molto il caso di scomparsa, al punto che c’è chi ha supposto che la giovane abbia cercato volutamente di diventare un caso nazionale tramite la sua vicenda, vittima di una sindrome da protagonismo molto diffusa, come effetto deteriore, nella società dei mezzi di comunicazione digitali.
La famiglia di Roberta Martucci non può tuttavia rassegnarsi a che cada il totale oblio sulla sua vicenda, non può accettare che la Procura di Lecce, dopo aver riaperto il caso nel 2022, lo abbia nuovamente archiviato perché non sarebbe possibile, visto il tempo trascorso, giungere ad alcun elemento utile a proseguire le indagini.
Pur dando per scontato che Roberta non sia più viva, Lorella chiude la sua lettera pubblica con un accorato appello: “È arrivato il momento di parlare di Roberta: di ciò che è stato, di ciò che è accaduto”.
La storia di Roberta Martucci è del resto la stessa di migliaia di persone, uomini e donne, giovani e anziani, che vivono da anni nella terra degli scomparsi. L’archivio telematico della trasmissione Chi l’ha Visto, o quello dell’associazione “Penelope”, è in tal senso eloquente: quante storie sono avvolte letteralmente in una nebbia fittissima, enigmi inestricabili che si perdono nel corso del tempo trascorso, lasciando le rispettive famiglia in una situazione di angoscia che annichilisce, perché se rispetto alla morte si può almeno fare i conti con la realtà, con la scomparsa di una persona cara nel nulla non ci sono appigli ai quali afferrarsi.




