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Don Pinuccio

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di Antonio Rubino

Ci sono notti in cui il sonno non arriva. Non per l’inquietudine, ma per il bisogno di rimettere insieme i pezzi di una vita vissuta, gli incontri, le parole, le strette di mano che hanno costruito ciò che siamo diventati. La notte in cui ho saputo della scomparsa dell’onorevole Giuseppe Caroli, per tutti noi Don Pinuccio, è stata così.
Non ho sentito l’urgenza di pubblicare la notizia. Ho sentito, invece, la necessità del ricordo.

Con lui ho condiviso cinquant’anni di informazione, da quando ero poco più che un ragazzo, quindici anni appena. Facevo radio senza essere ancora un giornalista, muovevo i primi passi nell’informazione con l’entusiasmo feroce dei sedici, diciassette anni. E tra le tante voci che incontravo, la sua era già allora un faro. Luminosa, ironica, inconfondibile.

Sono innumerevoli le interviste che gli ho fatto, tante quante le volte in cui mi ha insegnato qualcosa senza neanche volerlo.
Molti oggi stanno condividendo una fotografia che scattai io stesso a Don Pinuccio: una foto che, in queste ore, ha ripreso il suo viaggio.
E guardandola, mi rivedo accanto a lui, con un microfono in mano e un mare di domande che mi ribollivano in testa.

Uno degli aneddoti che porto nel cuore è quello che spesso mi ritrovo a raccontare, perché in quella piccola scena c’è tutta la grandezza del politico, ma soprattutto del comunicatore.
Eravamo davanti al Cinema Bellini. Arriva un signore che lo saluta con l’entusiasmo di chi si aspetta di essere riconosciuto.
Lui lo ascolta, lo osserva, e capisco che non lo ha affatto riconosciuto.
A un certo punto quell’uomo gli chiede:
— Onorevole, mi hai riconosciuto?
E lui, con quell’ironia tagliente ma mai offensiva, risponde:
— Come no? Non ti ho riconosciuto…?

L’altro, furbescamente, gli chiese allora:
E chi sono, onorevole?
Come chi sei? Rispose l’onorevole

E fu lì che, nella sua ingenuità, il signore si tradì dicendo il suo cognome.
Rossi sono… (non ricordo il cognome preciso, ma il senso è quello).
E Don Pinuccio, all’improvviso illuminato, replicò con quel modo di dire che solo lui aveva facendo finta di conoscerlo:
Rossi… mo lo ricordo! E’ il nome che mi sfugge

Quella scena, semplice solo in apparenza, per me fu una lezione di comunicazione più efficace di qualunque libro.
Perché l’onorevole Caroli non studiava comunicazione: la incarnava.
Aveva una capacità naturale di entrare nelle persone senza forzature, con autorevolezza e familiarità insieme.
Era un talento raro. Rarissimo.

Don Pinuccio — perché così lo chiamavamo quando parlavamo di politica — apparteneva a quella generazione che sapeva interpretare il territorio, ascoltare davvero, parlare alle persone e non ai numeri.
Lui e il senatore Giulio Orlando sono stati pilastri di un’epoca in cui la politica era un punto di riferimento autentico, non un rumore di fondo.
Un tempo in cui contava il rapporto umano, la presenza, lo sguardo, la parola detta con responsabilità. Riceveva centinaia di persone ogni settimana, prima nella sua sede del centro storico, poi nella sua masseria.


Ripercorrere la vita politica dell’onorevole Giuseppe Caroli, significa attraversare più di mezzo secolo di storia italiana. La sua carriera non è fatta soltanto di titoli o incarichi: è il risultato di una fiducia che la gente gli ha dato senza mai interrompere quel filo che lo legava al territorio.


Lui, partito dalla sua Martina Franca, aveva un modo naturale di farsi ascoltare, e per questo il suo cammino nelle istituzioni si è allungato anno dopo anno, con quella continuità che solo i grandi riescono a mantenere.

Cominciò giovanissimo, nel 1956, quando entrò nel Consiglio comunale ed era già il più votato. Da lì prese forma il suo passo politico: assessore, vicesindaco, dirigente della Democrazia Cristiana, sempre presente nelle questioni della città e della provincia. Non era un uomo da comizio e via; era uno che tornava il giorno dopo, che sapeva ascoltare e poi agire.

Nel 1968 arrivò la chiamata più grande: l’elezione alla Camera dei Deputati. Aveva 36 anni e da quel momento non si fermò più. Rimase in Parlamento per ventisei anni consecutivi, attraversando sette legislature. Un record che racconta la forza del rapporto con la sua gente e la credibilità che sapeva trasmettere ogni volta che parlava.

Nelle Commissioni parlamentari era un punto fermo: Difesa, Giustizia, Interni, Bilancio, Agricoltura, Industria… spazi diversi, competenze diverse, ma sempre la stessa idea di politica come servizio, mai come vetrina.

E poi ci sono gli anni da Sottosegretario, forse quelli che meglio mostrano il peso che aveva acquisito a Roma: tre mandati alla Difesa con Andreotti, uno alla Marina Mercantile, due alle Finanze con Fanfani e Craxi. Ruoli delicati, a volte complessi, che lui affrontava con la naturalezza di chi sa che la responsabilità non è un ornamento, ma un dovere.

L'onorevole Caroli con Giulio Andreotti
L’onorevole Caroli con Giulio Andreotti

Rappresentò l’Italia anche fuori dai confini, in missioni, incontri, rapporti internazionali che lo portarono a misurarsi con realtà lontane ma sempre con lo stesso stile, quello che lo rendeva immediatamente riconoscibile: diretto, composto, rispettato.

Dopo la fine della Democrazia Cristiana non si arrese alla nostalgia. Continuò a crederci, aderì ai movimenti che tentarono di custodire quel patrimonio politico, guidò strutture regionali, accompagnò nuovi percorsi. La politica, per lui, rimase sempre una vocazione, non una stagione.

Dietro ogni incarico c’è una storia, dietro ogni titolo c’è un uomo.
E Don Pinuccio Caroli, nella sua lunga vita istituzionale, ha dimostrato che la politica può essere fatta con serietà, con dignità, con quella misura che oggi sembra quasi impossibile da ritrovare.
Ecco perché, anche mentre ne ripercorriamo le tappe, ci accorgiamo che non stiamo leggendo un curriculum: stiamo ricordando un testimone di un tempo in cui la parola data aveva ancora un valore.

Sono tanti i momenti che affiorano. Una delle sue ultime interviste la fece proprio con me, quando venne ospite a Piazza Pulita.
Sto cercando quelle registrazioni in queste ore, facendo ordine tra nastri, cassette, appunti. E scopro che ogni volta che riapro un archivio, ritrovo un pezzo di lui.

Don Pinuccio era questo: un uomo che riempiva la memoria molto più di quanto abbia occupato lo spazio fisico.
Un uomo che oggi lasciasegni, non ombre.

Provo un dolore profondo.
Non solo per la sua scomparsa, ma per ciò che rappresentava: un modo di fare politica che non c’è più, una comunicazione istintiva, sincera, mai costruita.
Quella comunicazione che io ho studiato sui libri, mentre lui la portava nel sangue.

Perdo un amico.
Perdo un maestro inconsapevole.
Perdo una voce che, in fondo, ha accompagnato tutta la mia vita professionale.

Ma resta il privilegio di aver camminato accanto a lui in tante occasioni.
Resta l’eredità immensa delle sue parole, delle sue risate, della sua ironia, dei suoi silenzi eloquenti.
E resta, soprattutto, la gratitudine.

Grazie, Don Pinuccio.
Per ciò che sei stato.
Per ciò che ci hai insegnato.
Per ciò che resta e … va ricordato

p.s. Alla moglie , Adelina Casavola, ai figli Giovanni, Marcella e Mario le condoglianze personali e quelle di tutte le nostre redazioni

Antonio Rubino

Antonio Rubino è giornalista, editore e direttore del Gruppo Puglia Press e de La Voce del Popolo. Esperto di comunicazione e organizzatore di grandi eventi, ha collaborato anche con la RAI. Leggi la biografia completa 

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