
Taranto ha vissuto oggi una giornata di sciopero dei lavoratori dell’ex ILVA come non se ne vedevano da tempo, che ha moltissime migliaia di lavoratori complessivamente, fra i diretti, più di 10000, i 1.500 di Ilva in amministrazione straordinaria e i 6.000 dell’indotto.
Alla base della protesta, la preoccupazione per le ipotesi di vendita che potrebbero determinare fino a 5.000 esuberi e uno smembramento societario del gruppo. Nei presidi e nelle assemblee che l’hanno preceduta, i sindacati hanno ribadito la necessità di un intervento pubblico deciso, di un progetto di decarbonizzazione con tempi e risorse certi e di un piano industriale capace di coniugare ambiente e occupazione.
Durante la mobilitazione, una delegazione delle varie sigle sindacali metalmeccaniche è stata ricevuta dal Sindaco di Taranto, Piero Bitetti, al fine di portare le proprie rimostranze, condivise sostanzialmente dall’Amministrazione comunale, e questo ha fatto sì che si arrivasse alla sottoscrizione di un documento congiunto fra Comune e Sindacati confederali, col quale essi si presenteranno di fatto a Roma il 28 ottobre, per un importante incontro faccia a faccia con il Primo ministro Meloni ed i ministri interessati dalla questione.
A conferma dell’assoluta delicatezza della situazione, così come dell’assoluta importanza dell’incontro del prossimo 28 ottobre, ecco quanto ha dichiarato il Segretario generale della UIlm, Rocco Palombella:
“Questa mattina centinaia di lavoratori dell’ex Ilva di tutti gli stabilimenti hanno scioperato e hanno fatto sentire forte e chiara la propria voce per chiedere al Governo interventi urgenti e concreti per risolvere una situazione vicina a un punto di non ritorno.
Dopo mesi di parole da parte di tanti, spesso mistificatorie della realtà, annunci smentiti dopo poche ore e nessuna misura concreta, ci aspettiamo da tutte le istituzioni, locali e nazionali, l’assunzione di responsabilità perché non siamo mai stati così vicini alla chiusura dell’ex Ilva. Negli stabilimenti i lavoratori vivono una condizione di estrema precarietà e incertezza e questo è intollerabile.
Dopo il fallimento della gara per la vendita, la presentazione di offerte irricevibili che rappresenterebbero un disastro occupazionale, la maggior parte degli impianti fermi, produzione al minimo e 4.500 persone in cassa integrazione, è il momento che il Governo dica cosa vuole fare per il futuro di 20mila lavoratori e intere comunità.
Noi non possiamo accettare che si continui a restare in silenzio mentre le fabbriche si stanno spegnendo giorno dopo giorno. Ora il Governo deve uscire allo scoperto, presentare un piano industriale credibile e fattibile con un progetto concreto di decarbonizzazione per avviare da subito la transizione alla produzione con forni elettrici e DRI.
Tutto questo deve avere al centro il ruolo dello Stato che deve prendere in mano la gestione dell’azienda. Non ci sono altre strade e il Governo non può proseguire a lanciare la palla in avanti. È il momento delle scelte, è il momento della responsabilità e delle decisioni chiare e definitive per garantire un solido futuro ambientale, occupazionale e industriale. Il 28 ottobre sarà la prova del nove per il Governo: non accetteremo ulteriori rinvii”.




