CHI E’ SOTTO PROCESSO NON E’ PIU’ UOMO
Posted On 19/05/2021
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Un’ annosa e desueta questione, è quella relativa al rapporto tra processo e stampa.
Il Sottosegretario alla Giustizia Avv. Francesco Paolo Sisto ha asserito: ” Oggi chi è sotto processo, non è più un uomo “.
L’ attacco scriteriato e indiscriminato alla PRESUNZIONE D’ INNOCENZA ai principi costituzionali del giusto processo, non ci sorprende più: non serve un dibattimento, non serve ascoltare testimoni, attendere perizie ed intercettazioni, voluttuarie risultano le domande e le discussioni sancite dal codice di rito. Il Tribunale del popolo, imbastito dall’ inchiesta giornalistica, pare si sia espresso per mezzo della televisione pubblica.
E’ doveroso invece resistere alle barbarie del processo virtuale mediatico. La spettacolarizzazione dell’ inchiesta può nuocere gravemente i soggetti coinvolti, infatti il cittadino che riceve un’ informazione di garanzia, viene colpito nell’ immagine, nella persona, negli affetti familiari, nella posizione lavorativa e nella dignità. E questa pena sociale è molto più pesante rispetto a quella derivante dal fatto reato.
Violando la riservatezza e la salvaguardia della ” verginità ” cognitiva dei giudici, divulgate immagini, esibiti atti irripetibili, successivamente censurate nelle sedi giudiziarie del gravame, si è materializzato un attacco cruento alla libertà personale, alla tutela dell’ immagine, la difesa della dignità dei soggetti inquisiti.
L’ uso distorto del diritto d’ informazione, l’ annientamento delle garanzie processuali, ha permesso che la sentenza arrivi troppo tardi, quando tutta la sua forza è stata dispiegata dalla condanna pubblica, ampliando logiche e l’ animo di coloro che non credono più che l’ imputato abbia il diritto di difendersi nel processo.
L’ art. 335 c.p.p dovrebbe costituire il normato ostacolo onde limitare l’ accesso al registro delle notizie di reato a terzi. L’ esigenza d’ informazione deve essere rapportata alla gravità ed importanza del processo sotto il profilo oggettivo e soggettivo in base all’ appetibilità dei soggetti coinvolti. Sovente i malcapitati indagati, restano disastrosamente penalizzati dalla pubblicazione dei loro nomi, mentre i media si appiattiscono al consenso di chi dilata notizie ghiotte delle disgrazie altrui.
Quando i beneficiari apprendono le notizie e l’ informazione di garanzia per il tramite dei media, la giustizia e le stabilità democratiche vacillano, osannati dall’ eccitazione traculenta di una collettività entusiasta delle capitazioni mediatiche degli indagati di turno.
Una democrazia sana deve garantire l’ esplicazione di tutte le opinioni, non solo degli organi inquirenti, ma far comprendere il vero significato dell’ indagine, senza costringere l’ indagato a subire una preventiva condanna popolare irrevocabile.
La notizia non deve sostituire il reato, perchè equivale a condanna, provandoci del processo penale, unico baluardo di libertà.
Si potrà parlare di ritorno alla civiltà solo nel momento in cui l’ opinione pubblica, i mass media sapranno riconoscere le informazioni e la giustizia saprà punire gli abusi, nel rispetto della tripartizione dei poteri dello Stato.
Francesca Branà