Avevo deciso di smettere
Ci eravamo lasciati un mese fa dandoci appuntamento a questa settimana. Questa volta la puntualità non è stata del tutto merito mio, ma di chi guida i fili di ciascuno di noi, anche se tutti crediamo di essere noi stessi a determinare la nostra vita. Non è così.
In tanti mi hanno scritto dopo l’ultimo editoriale. Lo hanno fatto sui social, su messenger, WhatsApp o lasciandomi messaggi sul telefono. Avevate capito il momento che stavo vivendo. Non ho risposto a nessuno. Non ero nello stato d’animo per farlo. Ma con il tempo ho letto tutto. Mi sono commosso leggendo molti messaggi arrivati, da chi magari non me lo sarei mai aspettato. Anche da parte di tanta gente che non conoscevo. Ho apprezzato soprattutto le preghiere, meno i messaggi di circostanza che sembravano soprattutto una richiesta di informazione sull’orario in cui si sarebbe dovuto svolgere il mio funerale. Ho vissuto il mese più brutto della mia vita, coinciso con una operazione nell’Ospedale di Negrar a Verona, durato otto ore, ad opera di un chirurgo eccezionale che considero il mio angelo e guarda caso porta il cognome di uno dei calciatori che ho amato di più da bambino: Letizia Boninsegna.
Si, ho rischiato di morire 48 ore dopo l’intervento per una complicazione. Ma Dio mi ha dato una seconda possibilità, quella di superare l’operazione e sconfiggere la malattia. La fede è stata fondamentale, tanto quanto la vicinanza della mia famiglia, mia moglie prima di chiunque altro. Se ricordate, in quell’editoriale scrissi che da una malattia si può trovare una opportunità. La domanda che mi sono fatto in tutto questo tempo è stata: Se avessi la possibilità di continuare a vivere o rinascere, continuerei a fare le stesse cose? La risposta è no. Capisci che tu, la tua vita, le persone a cui ci tieni, vengono prima di tutto il resto. Ho deciso, d’ora in avanti, di dedicarmi agli altri, a quelle persone silenziose con la voce roca che tanti fanno finta di non ascoltare. Ho avuto un tumore. Non devo fare radiazioni, né chemio. Oggi non vi è più traccia, ma nemmeno posso nascondermi dietro ad un dito: Chi l’ha avuto, per tutta la vita, può temere una recidiva. E’ come una spada di Damocle che pende sopra la tua testa. Entra in quel protocollo che lo porterà ogni sei mesi a fare degli esami con la palpitazione fino a quando non vedrà i risultati della PET. Vi vorrei raccontare quattro episodi straordinari che mi sono accaduti in questi ultimi mesi, come se qualcuno stesse guidando i fili della mia vita ed avesse deciso che dovessi continuare a vivere. Ad iniziare da quando mia moglie trovò in cantina una teca dove all’interno c’era il Sacro Cuore di Gesù. Nessuno dei due se lo spiegava, pensammo di averla acquistata in qualche mercatino. Quella mattina, dalla radio, apprendemmo che proprio quel giorno, il 28 Giugno, si celebrava il Sacro Cuore di Gesù. Quando decisi di operarmi a Negrar, subito dopo appresi come si chiamava quell’Ospedale: Sacro Cuore di Gesù. Alla fine la cosa più sorprendente. Sulla nostra testata del letto abbiamo avuto sempre un arazzo con una scritta in latino della quale non ci avevamo mai resi conto: Questa famiglia è protetta dal Sacro Cuore di Gesù. La fede è fondamentale, nonostante ci avviciniamo ad essa solo nel momento del bisogno, ma Dio e la Madonna, sono abituati a questo. Un giorno ho conosciuto un signore mentre facevo il contrasto della PET. Si chiama Giorgio Piffer è di Trento ed è uno dei fondatori di una Associazione di tumori endocrini (netitaly.net) alla quale ho aderito ed ho deciso di collaborare. Fui attratto da una frase che mi disse: “Oggi sono nove anni della mia seconda vita”. Incuriosito gli chiesi cosa volesse dire. Erano nove anni che gli avevano asportato quasi tutto il pancreas e continuava a combattere e a vivere. Diventammo subito amici. Quello sconosciuto è stato fondamentale per me. In quei giorni ero confuso, psicologicamente a terra, non riuscivo ad avere una diagnosi certa. Lui mi disse: Antonio, devi andare via da qui con due consapevolezze: una conoscere il tuo nemico, brutto o buono che sia, la seconda è quella di affidarti ad una struttura, senza iniziare la via Crucis degli ospedali o di specialisti. Così ho fatto.
Avevo deciso di smettere di fare il giornalista, stanco di scontrarmi con i soliti imbecilli contro i quali è una battaglia persa, soprattutto se poi ti metti al loro pari, affacciandoti sul terreno dei social.Un mio collega mi ha fatto desistere. Secondo lui quarant’anni di esperienza nel marketing non si possono gettare nella spazzatura e mi ha coinvolto in alcuni nuovi progetti. Di sicuro cambierò il mio stile di vita. Oggi il mio cervello va avanti rispetto al mio corpo. La ripresa sarà lenta. Una cosa è certa: combatterò, senza risparmiarmi, l’inquinamento e quei mostri che nel nostro territorio stanno mietendo vittime a iosa, soprattutto bambini. Lo farò con tutte le mie forze, con il vostro aiuto e con quello di Dio che ha creato un mondo perfetto che solo l’uomo ha rovinato. Non temevo querele prima, figuriamoci oggi, dove le sentenze dei tribunali vanno più a rilento riguardo la progressività di un tumore. Sarò sempre disponibile con chiunque vorrà incontrarmi. Una malattia può essere una opportunità. #Buonavita