Taranto – Lei è ricoverata ma qualcuno occupa la sua abitazione. | LA LETTERA
TARANTO – Di seguito riportiamo il testo integrale della lettera arrivata in redazione, in merito ad un fatto di cronaca avvenuto il 22 dicembre ad una anziana signora disabile, che ricoverata da alcune settimane in una casa di cura, ha visto occupare abusivamente la propria abitazione.
“Anita è una nonna di 93 anni. E’ ancora bella, le rughe profonde, gli occhi azzurri. Certo il portamento non è più quello fiero e sicuro di pochi anni fa. L’età fa sentire tutto il suo peso sulle spalle ricurve e sul bastone che accompagna il suo passo incespicante. Ma lo spirito è sempre quello battagliero e volitivo per cui i suoi nipoti l’hanno affettuosamente soprannominata “Garibaldi”.
Anita, come tanti dei nostri nonni ha alle spalle una storia piena, fatta di sacrifici e di momenti incredibili.
E’ nata in un piccolo paesino del Veneto, in una famiglia povera e numerosa. Suo padre fu costretto ad emigrare in Germania (?). Ma poi la distanza dai suoi cari era troppa. Allora decisero di riprovare e questa volta partirono tutti quanti insieme. Andarono in cerca di una vita migliore in Libia. Anita aveva 13 anni. Venne loro assegnata una casa e un poco di terra, nel villaggio agricolo Pietro Micca, abitato da coloni italiani. Lì la famiglia si stabilì, cercando di tirare fuori qualcosa dalle terre aride vicine al deserto. I suoi ricordi di allora, nonostante le difficoltà, sono felici. Il lavoro, i dieci km di strada da fare per raggiungere a piedi la domenica la chiesa per andare a messa, sono quasi una passeggiata nei suoi racconti.
In Libia Anita ha conosciuto il suo futuro marito, Pietro, emigrante marchigiano. Li si sono sposati e sono nati cinque figli. Poi sono ritornati i momenti difficili, quando gli italiani fuggirono da Gheddafi. Prima ancora che venissero confiscati i loro beni, e requisita la casa, tornarono in fretta in Italia, e si stabilirono nelle Marche, ospitati dalla famiglia di Pietro. Erano di nuovo senza niente.
Infine il bisogno di lavoro e le opportunità offerte dalla costruzione e dall’ingradimento dell’Ilva, portarono la famiglia di Anita a trasferirsi a Taranto (quasi paradossale pensarci oggi). Qui, dopo aver rispettato tutta la trafila burocratica e i tempi previsti, fu assegnata loro una casa popolare nel rione Salinella, di fronte alla chiesa della Santa Famiglia. Per questo nonna Anita ha sempre gioito. Perché dal balcone aperto, il suono delle campane ha scandito le ore della sua giornata laboriosa. Per nonna Anita questa è la Casa. Certamente perché finalmente ha posto fine al suo peregrinare; perché qui ha potuto crescere i suoi figli e per qualche tempo alcuni dei suoi 21 tra nipoti e pronipoti, oggi sparsi per l’Italia. Qui, oltre trent’anni fa è morto il suo Pietro, e qui anche lei ha sempre pensato di finire i suoi giorni.
Molto probabilmente, dopo 43 anni questo non sarà più possibile, anche se questo lei ancora non lo sa.
Da qualche mese, per i suoi problemi fisici e per l’impossibilità di stare da sola, è ricoverata in una casa di cura.
Nella notte del 22 dicembre degli abusivi sono entrati rompendo il vetro di una veranda e forzando poi la porta di ingresso. Saranno stati dei migranti (visto che oggi si attribuiscono loro tutte le colpe)? Macché, è gente del posto, ben informata sullo stato della casa, sullo stato di salute della nonna, e sul funzionamento delle istituzioni italiane. Quando la mattina del 23 dicembre i figli di Anita, avvisati da una segnalazione anonima si sono recati sul posto con la polizia, l’occupante, una donna adulta, incinta e alla presenza di altri minori, si è autodenunciata, rivendicando il suo diritto ad un’abitazione. Alle accorate proteste dei familiari di nonna Anita, lei ha risposto dal balcone: “M’a piggh Je a’ nonna quand’esse d’addà”. Cioè lei farebbe il favore di tenersi la nonna nella SUA casa. Dove ogni cosa parla di lei (O forse già non cè più niente?, si saranno già portati via tutto? Chi lo sa, non si può entrare…i familiari devono attendere che le forze dell’ordine li accompagnino dentro per riprendere le proprie cose).
I mobili, faticosamente acquistati con rate e cambiali, i vestiti cuciti con le proprie mani, le fotografie, i libri, la corrispondenza degli anni della Libia e quella con i figli lontani, le piante di gigli nel balcone che a fioriscono a maggio in un’esplosione di colori, e che nonna Anita dal suo ricovero raccomanda ai suoi figli di non lasciar seccare. Niente di grande valore economico, tutto, perfino la singola tazzina sberciata di caffè, di un infinito valore affettivo.
E qui subentrano tutte le amarissime riflessioni sul funzionamento delle nostre istituzioni. Sì, perché in uno Stato normale ci si aspetterebbe, che una volta che la polizia giunga sul posto, verifichi l’effrazione, constati la violazione di domicilio e riporti le cose in ordine. Invece no. La polizia ha invitato i familiari, naturalmente agitati a stare calmi (ditemi voi se qualcuno entra in casa vostra, vi cambia la serratura, si impossessa dei vostri beni e voi rimanete là fuori dall’uscio a chiedere giustizia, se non vi agitereste). E’ salita nell’appartamento. Ha constatato lo stato delle cose, la buona condizione della casa, ha raccolto l’autodenuncia della donna e ha terminato il suo lavoro. Spiegando, con garbo e con gentilezza, credo anche con vero dispiacere, che per la legge loro non possono fare altro. Solo il giudice può disporre la liberazione dell’appartamento.
Ecco il colmo: per rientrare in possesso della sua casa, nonna Anita dovrà fare denunce, intentare una causa, lunga e costosa. Denaro che lei non ha, perché vive della pensione minima. Tempo che lei non ha perché è ammalata. E che – ha suggerito qualcuno ai familiari – ne vale la pena? Non sapete che gente vi mettete contro. E poi – ha aggiunto qualcun altro – non sapete che quando se ne vanno, quelli vi fanno i dispetti e ti spaccano tutte cose? Tanto la casa è dello IACP…
La famiglia ha sbraitato, ha gridato, ha chiesto aiuto. Ma tutto si tace. Naturalmente nessuno ha visto né sentito niente… e anzi la giornata si è chiusa con la beffa di un commento pervenuto dagli spettatori: così imparate a stare a casa! Le Istituzioni, il Comune, lo IACP? Ci vuole tempo…
A 93 anni nonna Anita è stata violata nel suo bene più prezioso. Come già successo altre volte nel corso della sua vita, lei ha perso tutto.
Questa è la tutela che lo Stato assicura a un bravo cittadino. A un cittadino indifeso. Al quale non rimane che assistere impotente alla disgrazia che ti è capitata, perché se reagisci, passi tu dalla parte del torto. E aspettare… Quello che è capitato a nonna Anita, succede a tante altre persone oggi. Affittuari che smettono di pagare, appartamenti vuoti che vengono occupati. Basta farci entrare almeno uno che abbia i requisiti giusti: minori, donne incinta, qualcuno con handicap, perfino qualcuno che ha eletto il vostro indirizzo come residenza per scontare gli arresti domiciliari. E così accade che la casa, il più prezioso tra i beni, viene violata con una facilità disarmante. E la legge consente a chi calpesta un terreno così delicato e prezioso una sostanziale impunità.
Buon Natale nonna Anita e felice anno nuovo…”