Bullismo: «Io messa alla gogna a 14 anni, oggi la combatto con tutte le mie forze. Scrivo per difendere». La storia di Eleonora
di Elena Ricci e Andrea Tarquilio
Un giorno ti svegli e la tua vita cambia all’improvviso. La scuola, le tue amicizie, la tua famiglia, le tue abitudini, le tue emozioni. Tutto sembra svanire, tutto sembra cadere nel buio. Improvvisamente il mondo intero ce l’ha con te e tu non riesci a spiegarti il perché.
La prima domanda che pone una vittima di bullismo è una domanda verso se stessa: «cosa c’è di sbagliato in me?». All’improvviso tutte le sicurezze costruite svaniscono e i dubbi imperano. Tutto porta a pensare che tu sia una persona sbagliata, non all’altezza di chi ti circonda.
Sono trascorsi 12 anni, ed Eleonora (nome di fantasia) che vive in provincia, non ha mai dimenticato chi e cosa le ha cambiato la vita per sempre. Vittima di un banale pregiudizio, questo ben presto si è trasformato in un vero e proprio inferno, che è stato difficile combattere.
Un abbigliamento un po’ dark, pelle chiarissima ed occhi e capelli scuri, le costarono l’appellativo di “strega”, e se questa fosse rimasta una diceria tra ragazzini, sarebbe stato tutto più semplice. Ma non andò così.
Da sempre appassionata di scrittura e poesie, 12 anni fa, Eleonora dedicò due poesie a due persone scomparse: sua nonna e un ragazzo di cui era infatuata, quegli amori puliti e innocenti adolescenziali.
L’inferno iniziò proprio da lì, da un comune quanto tenero e piccolo gesto d’amore.
«A scuola, frequentavo la terza media, i miei compagni esprimevano la loro paura nei miei confronti. Dicevano ai professori di avere paura di me perché scrivere una poesia ad una persona che non c’è più significava “parlare con i morti”».
Ben presto le preoccupazioni dei bambini diventarono anche preoccupazioni dei genitori, in particolare cinque famiglie che chiesero una riunione con la preside dell’istituto comprensivo frequentato da Eleonora, riunione alla quale prese parte anche il parroco. «Il parroco in un nostro colloquio mi disse che le persone care andavano lasciate in pace e che bisognava solo pregare per loro e non scrivere poesie. Ma davvero una poesia significa parlare con i morti? E allora tutti quegli artisti che dedicano canzoni, o dediche e baci verso il cielo durante i concerti?».
Da quella riunione la vita di Eleonora cambia. Il suo banco in classe era isolato, nessuno voleva più sederle accanto. La situazione si estese anche al catechismo che Eleonora frequentava regolarmente. Nessuno faceva più gruppo con lei, e sul suo banchetto venivano periodicamente disegnati scheletri o tombe. Addirittura, alcuni genitori coprivano gli occhi ai propri figli quando Eleonora passava per strada «perché avevano paura e non si poteva rischiare di turbarli. Ma nessuno ha mai pensato quanto questa cosa inverosimile potesse turbare me, che all’epoca avevo appena 14 anni e stavo iniziando ad assaporare il mondo».
«Nessuno mi difendeva. Il parroco mi aveva tradita, perché accoglieva le lamentele altrui e quindi condannava quella maledetta poesia. I professori facevano finta di nulla. Solo due di loro e una catechista mi hanno sempre consolata».
La storia va avanti e queste famiglie, convinte nella loro assurda lotta, si rivolgono ai servizi sociali che convoca la famiglia di Eleonora. «L’assistente sociale convocò i miei genitori e disse loro che cinque famiglie si erano rivolte presso il suo ufficio perché a loro dire, la mia famiglia non era idonea a fornirmi un’educazione adeguata. Volevano che io fossi sottratta alla mia famiglia – racconta Eleonora – l’assistente sociale rimase fortemente incredula e avvisò informalmente i miei genitori, che tra l’altro conosceva bene, senza avviare alcuna azione».
«Sentivo su di me un peso insormontabile. Semmai mi avessero tolta dalla mia famiglia, avrebbero portato via anche mia sorella e fratello minore. Mi sentivo responsabile nei loro confronti. Responsabile di avere amato e di non essere stata compresa».
L’assistente sociale non diede peso a quell’assurda storia e non avviò alcuna azione. Ma i problemi non finirono lì. Non contenti di aver ottenuto quanto volevano, i compagni di classe di Eleonora decisero di farsi giustizia da soli. Iniziarono così le aggressioni fisiche in classe. Un braccio slogato e mani al collo. «In due mi tenevano ferma e un altro compagno tentò di strangolarmi. Per non parlare delle minacce di morte ricevute a casa». Eleonora andava a scuola da sola e per giungere presso l’edificio passava attraverso un sottopassaggio «Telefonavano a casa e dicevano che all’indomani mi avrebbero accoltellata nel sottopassaggio».
Alla luce di queste gravi minacce, i genitori di Eleonora decidono di ritirarla da scuola. «Quell’anno avrei dovuto sostenere gli esami di terza media. Cercammo una prima mediazione con il parroco, ma da questi arrivò la seconda pugnalata: disse che i ragazzi erano solo spaventati ma non erano dei criminali. Spaventati di cosa? Si continuava a sostenere un discorso senza alcun fondamento di intelligenza. Mi sentivo proiettata nel Medioevo e pronta ad essere messa al rogo».
Arrivati a questo punto i genitori di Eleonora si rivolgono alle forze dell’ordine. «Diffidammo i ‘compagni’ di classe alla luce delle minacce ricevute e delle aggressioni subite. Io nel frattempo non andavo più a scuola, mi presentai solo in sede d’esame dove fui promossa con il massimo dei voti. Nel frattempo era iniziata la mia depressione. Non uscivo più, non avevo amici, avevo gli occhi puntati su di me. Ero stata messa alla gogna, la cosiddetta “nomina”. A momenti pensavo che la cosa migliore fosse morire, e non nascondo che ci provai».
La famiglia di Eleonora fu forte. Sostenne Eleonora mandandola via per un po’, in un’altra regione, da zii e cugini per le vacanze estive. Al ritorno Eleonora iniziò il liceo e lì tutto cambiò.
«Il liceo era in città, conobbi gente nuova. E iniziai a raccontare la mia storia. Capii che ciò che mi era successo era frutto dell’ignoranza di cinque famiglie e un parroco di un piccolo paese che non si sono mai posti l’obiettivo di crescere. Capii che dovevo continuare a scrivere anche se dopo quell’episodio iniziai ad odiare la scrittura. Capii che dovevo utilizzare la mia storia per aiutare chi stava passando quello che ho passato io». Eleonora così ha continuato il suo percorso di studi, è cresciuta e ha fatto della scrittura il suo lavoro. «Oggi più che mai combatto la gogna. Tutto ciò contro la persona che si perpetra in rete e non. Io so cosa vuol dire, ecco perché lo faccio».
«Questo è principalmente il motivo per cui ho scelto di raccontare questa mia storia con un nome di fantasia e senza menzionare il nome del paese e delle persone. Proprio per non metterli alla gogna, anche se capire cosa mi hanno fatto passare non farebbe loro male. Ma ci ha pensato la vita: ad uno ad uno tutti hanno avuto qualcosa: dal parroco, a quei miei famosi ‘compagni’ e le loro famiglie».
Eleonora oggi ha una sua vita, il suo lavoro e nonostante tutto è rimasta lì: in quella piccola realtà che le ha fatto tanto del male.
«Ho imparato a camminare a testa alta. Ho capito che non è sempre colpa nostra e che la gente intende ciò che vuole intendere. Chi ha avuto modo di conoscermi ha capito chi sono e cosa ci metto in ciò che faccio. Non so dirvi se ho perdonato queste cinque famiglie e il parroco, che per fortuna non sono l’intero paese, ma una cosa è certa: mi dispiace. Mi dispiace per loro, per quello che sono stati. Forse preme più a loro dimenticare, che a me».
La mano violenta del bullismo. Un giovane su due ne è vittima, e spesso mancano gli strumenti adatti a prevenire questo fenomeno
Flebili e sussurrate, a volte senza nemmeno le parole. Altre volte urla piene di rabbia e rancore, segnali di disagio ormai non più sopportabile. Le richieste d’aiuto per le vittime del bullismo sono spesso la parte più difficile di quanto accade loro. Per vergogna, pudore o inizialmente per sottovalutazione, capita frequentemente che i segnali che possano far suonare un campanello d’allarme deciso per intervenire a sostegno delle vittime di bullismo possano risultare tardive, e dunque inefficaci.
Quello del bullismo è oggi uno dei problemi di maggiore allarme sociale tra i più giovani, ma ritenerlo un fenomeno nuovo sarebbe un errore che non vogliamo commettere.
“Gli sfottò, le goliardate quando non proprio i tentativi di sopraffazione fisica e psicologica ci sono sempre state nel mondo della scuola, perché attengono ad un momento in cui i ragazzi tendono a formare le loro personalità”, ci spiega la Prof.sa Antonella Vulcano, docente del Liceo Artistico “V. Calò” di Martina Franca, “allora come oggi però è fondamentale il ruolo delle istituzioni educative, a partire da quello degli insegnati, che devono intervenire assieme alle famiglie e far comprendere al giovane il confine tra un comportamento goliardico e la vessazione”.
I dati Istat contenuti nel rapporto “Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi” riporta dati relativi alla rilevazione del 2014. Nel report si leggono dati allarmanti, indice che qualcosa negli ultimi anni è cambiato. Poco più del 50% dei giovani tra gli 11 e i 17 anni ha ammesso di aver subito qualche episodio offensivo nei dodici mesi precedenti, il 19,8% degli intervistati dice di essere stata vittima di azioni di bullismo più volte in un mese.
Nei dati si legge che a subire il bullismo sono prevalentemente le ragazze (20,9%) tra gli undici e i tredici anni (22,5%), e che le prepotenze più comuni consistono in “offese con brutti soprannomi, parolacce o insulti” (12,1%), derisione per l’aspetto fisico o il modo di parlare (6,3%), diffamazione (5,1%), esclusione per le proprie opinioni (4,7%) e aggressioni con spintoni, botte, calci e pugni (3,8%).
Lo studio statistico rivela che il fenomeno ha assunto ormai una grandezza non più trascurabile, e che richiama all’impegno di tutti.
“L’Arma dei Carabinieri è particolarmente impegnata in azioni di prevenzione di questo grave fenomeno”, afferma il Maggiore Giuseppe Campione, Comandante della Compagnia di Monopoli, “i nostri uomini operano soprattutto nelle scuole affiancando le attività di associazioni ed altre istituzioni che portano avanti un’opera di sensibilizzazione continua sul tema del bullismo”.
Sensibilizzare sembra la parola chiave per prevenire le azioni dei bulli e per sostenere le vittime.
“Questi fenomeni in genere si verificano per l’istinto dei bambini e dei giovani sotto i tredici anni a replicare i modelli di relazione cui assistono in famiglia”, spiega la Dott.sa Rossana Putignano, psicologa clinica del Crime Analysts Team, “il confine tra goliardia e patologia è spesso sottile, e si regge sull’equilibrio del gioco di manipolazione psicologica tra il bullo e la vittima. Va sottolineato purtroppo che alle volte colui che subisce le vessazioni fatica terribilmente ad allontanarsi dal contesto in cui queste si verificano, perché in esso tende a riconoscere aspetti familiari o consueti, che impediscono di avvertire da subito la violenza verbale, fisica o psicologica come qualcosa di sbagliato”.
Il parere della Dott.sa Putignano spiega plasticamente quanto possa essere difficile sottrarsi al giogo del bullismo, le cui azioni denigratorie, come gocce continue sulla pietra porosa, possono scavare dei segni indelebili nella personalità di chi ne è vittima.
Uno degli aspetti particolarmente interessanti della nostra indagine è che ancora troppo pochi sono i casi di denuncia degli atti di bullismo. Ai Carabinieri della Compagnia di Monopoli, che si occupano di un territorio molto vasto nel Sud-Est barese, non risultano denunce per atti di bullismo, così come questi fenomeni faticano ancora ad emergere anche nelle scuole, “dove spesso la relazione tra giovane ed adulto non viene ritenuta sufficientemente sicura”, sottolinea la Prof.sa Vulcano.
Lo studio Istat infatti rileva che la maggioranza delle vittime di bullismo ritiene più efficace confidarsi con le persone più vicine per chiedere aiuto, siano essi genitori (65%), amici (42,8%) o fratelli e sorelle (30%). Solo il 41% delle vittime ritiene efficace ricorrere all’aiuto degli insegnati.
“Con onestà dobbiamo ammettere che al corpo docente spesso mancano gli strumenti per comprendere i fenomeni legati al bullismo, specie quelli che passano attraverso l’uso delle nuove tecnologie”, prosegue l’insegnante, “molto nelle classi viene lasciato alla sensibilità dei docenti, che non sempre sanno o possono agire efficacemente”.
Molti docenti invocano una maggiore e più raffinata formazione psicologica che li supporti nell’individuare meglio e prima le dinamiche che portano i bulli a vessare e le vittime a subirne le angherie.
Le nuove tecnologie hanno cambiato anche il bullismo, decretando la nascita del cosiddetto “cyberbullismo”. Lo studio Istat rileva che al 2014 solo il 5,9% dei ragazzi che abitualmente utilizzano un cellulare e/o Internet ha subito ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, chat, mail o social network. Eppure il grande risalto che le violenze tra i giovani stanno assumendo fa sì che oggi, a tre anni di distanza, questo dato sembri già superato.
Per la Dott.sa Rossana Putignano “il web purtroppo è un mondo in cui regna una totale deresponsabilizzazione: ognuno si sente forte dietro uno smartphone o un computer, e con la distanza che il virtuale mette tra le persone avviene che ci si possa sentire più forti nell’offendere qualcuno sapendo che molti possono leggere e dare supporto pur non conoscendo la situazione. Si tratta di un’ulteriore conseguenza del cosiddetto ‘narcisismo secondario’ che oggi domina il nostro tempo, con gli adulti assorbiti dalla smania di soddisfare i propri bisogni non necessari, perdendo così di vista quanto succede frequentemente attorno a loro”, magari ai loro figli.
Allora come agire?
Probabilmente abbinando alla sensibilizzazione che viene fatta nei confronti dei più giovani dei progetti educativi che coinvolgano maggiormente gli adulti, che ne rinsaldino i legami e che sollecitino una maggiore presenza, fisica e psicologica, al fianco dei loro figli. Poi è sempre più urgente che nascano e si sviluppino dei protocolli di azione per i casi di bullismo.
“Al momento non abbiamo strategie particolari”, spiega il Maggiore Campione, “in caso di denuncia forniamo alla vittima tutto il supporto possibile a seconda della situazione, e l’azione investigativa viene concordata con il Procuratore, a seconda che la vittima sia minorenne o maggiorenne”.
Il bullismo è un fenomeno purtroppo in forte espansione, che pur venendo da lontano riesce a trasformarsi e farsi sempre più pericoloso per i ragazzi più deboli. Ricordiamo sempre, come sosteneva Jean Jacques Rousseau, che “l’uomo è buono per natura”, e che molto spesso dietro un bullo c’è una storia di ignoranza sociale che ha un disperato bisogno di essere affrontata, perché chi impara la violenza possa comprendere anche la purezza dell’animo umano e rispettarlo.