Bari – “Jasmine non ha colpe”, l’appello della famiglia della 17enne deceduta sulla Tangenziale
Non capelli al vento ma casco, sotto-casco in sintetico e collare cervicale protettivo; non camicetta e minigonna ma tuta e giacca tecnica; non mani nude ma guanti: unica, parziale concessione a un abbigliamento per il resto idoneo alla moto, le scarpe. Non tacchi a spillo, ma un paio di stivaletti neri, scelti per la sua festa di compleanno, il diciassettesimo.
Eppure, queste calzature sono diventate quasi un caso mediatico dopo il deposito e la diffusione della perizia redatta dall’ingegner Luca Ancora, il consulente tecnico d’ufficio incaricato dalla Procura di Bari – nell’ambito del relativo procedimento penale – della ricostruzione cinematica dell’incidente di cui è rimasta vittima Jasmine Giordano, la ragazza deceduta il 30 ottobre lungo la Tangenziale di Bari: una vicenda che ha scosso tutta la città, anche perché la giovane si stava appunto recando alla sua festa di compleanno a bordo del Triumph condotto dal fidanzato, Francesco Carrieri, 22 anni, e, dopo essere caduta dalla sella rovinando sull’asfalto, è stata travolta dalla Citroen C3 che seguiva e su cui viaggiavano altri amici che dovevano festeggiarla, tra cui il 22enne Angelo Giacovelli, alla guida: i due coetanei sono entrambi indagati per omicidio colposo.
Il peso che si è voluto dare a quest’elemento ha profondamente amareggiato i congiunti della ragazza, specie mamma Angela, che quelle scarpe gliele aveva regalate, lasciando perplessi anche gli esperti di Studio 3A, la società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità, a tutela dei diritti dei cittadini, a cui i familiari della vittima si sono rivolti per ottenere giustizia, tramite il consulente personale Sabino De Benedictis.
Perché è vero che il Ctu evidenzia che “la ragazza era intralciata nei movimenti da scarpe poco adatte alla circostanza”, ma aggiunge anche che la caduta dalla due ruote è stata dovuta a “una serie di fattori concomitanti”, citando “una disattenzione o forse una manovra brusca posta in essere dal conducente”: entrambi gli amici che seguivano con la loro moto hanno avvertito distintamente e riferito agli inquirenti di un’improvvisa e repentina accelerata impressa al suo Triumph dal fidanzato di Jasmine. Qualcuno aveva addirittura parlato di impennata, circostanza di cui però – va precisato – ad ora non vi è alcuna prova, così come non è stato possibile stabilire con certezza a quale velocità andasse la motocicletta, che tuttavia potrebbe essere stata non adeguata: sempre uno dei centauri che seguivano ha dichiarato che tutto il gruppetto procedeva a 110 km/h, laddove in quel tratto il limite è di 80. E non ha giovato neanche la “seduta scomoda e poco stabile che di per sé hanno le selle dei motocicli sportivi” ha sottolineato il tecnico: per inciso, Carrieri è stato anche sanzionato per aver elaborato la sua moto sostituendo proprio la sella, anche se l’ingegner Ancora conclude come quest’ultimo modello non si discostasse comunque di molto da quello originale.
E in ogni caso, ricorda bene il perito, è sempre il conducente, come prescrive l’articolo 170 del codice della strada sui ciclomotori, a dover verificare che “l’eventuale passeggero sia seduto in modo stabile ed equilibrato, nella posizione determinata dalle apposite attrezzature del veicolo” , così come “la totale idoneità dell’abbigliamento”. “Una verifica che doveva essere eseguita dal conducente, a maggior ragione tenuto conto che il passeggero era minorenne”. In caso di incidenti è dunque il conducente a risponderne, con lo stesso principio per il quale è il guidatore di un veicolo ad essere ritenuto responsabile di eventuali danni a terzi trasportati causati dal mancato uso delle cinture di sicurezza.
E’ proprio questo uno dei motivi per i quali il consulente tecnico riconosce al Carrieri una condotta imprudente, laddove poi spiega che Jasmine è deceduta in seguito ai traumi riportati con l’impatto contro la vettura, il cui conducente è colpevole di non essere riuscito a scansarla in tempo.
“Dunque, la perizia conferma come Jasmine non abbia responsabilità alcuna nell’accaduto – spiega il dottor Ermes Trovò, Presidente di Studio 3A -, ma i suoi familiari non ci stanno a che la ragazza passi come un’incosciente e una persona avventata solo perché indossava un paio di comuni stivaletti: è come se la si uccidesse un’altra volta. E ricordano anche che, contrariamente a quanto accade a tanti ragazzi della sua età, e non solo, aveva tutti quanti i presidi di sicurezza richiesti per viaggiare in moto, a cominciare dal casco. Le cause di questa tragedia sono da cercare altrove”.
Comunicato Stampa