Petrolio: sarà volatilità per i prossimi anni?
Una domanda che viene spesso posta dagli investitori è la seguente: il prezzo del petrolio salirà prima o poi? Poche sono le certezze, ma una fra tutte spicca, ovvero la prossima richiesta che arriverà dall’Asia entro il 2020 e che potrebbe tradursi in un crollo dell’offerta per l’oro nero, con conseguente svalutazione del suo prezzo. La situazione è alquanto frammentata e molti sono gli analisti che si aggrappano a un’unica parola: volatilità, intesa come una condizione di mercato che non smetterà di proporsi almeno per i prossimi due anni.
Dello stesso parere l’Agenzia Internazionale dell’Energia, che ha esposto il suo ragionamento in merito. Secondo gli esperti, il petrolio presente nelle profondità della Terra è ancora abbondante. Questa abbondanza è cresciuta a seguito dello shale oil, tecnica di estrazione che ha permesso di ampliare notevolmente la gamma di offerta ma che ha letteralmente cambiato il volto del petrolio negli ultimi anni. Questa tecnica statunitense ha infatti fatto dimezzare il prezzo dell’oro nero e ora investire in un bene così frammentario non interessa più a (quasi) nessuno. Come dare torto agli investitori, che si vedono molto spesso invitati a investire su un prodotto le cui quotazioni sono talvolta coì depresse da risultare inferiori allo stesso costo di produzione.
La previsione sulle quotazioni, come possiamo vedere nella sezione commodities del sito comefaretradingonline.com, non dovrebbe quindi registrare grandi picchi nel futuro più immediato e, solo a partire dal 2019 potrebbe verificarsi un aumento significativo della domanda che dovrebbe, secondo i calcoli degli analisti, raggiungere quota 100 milioni di barili al giorno. Come si pongono i paesi arabi in questa previsione? Interessante è la dichiarazione del ministro dell’Energia saudita Khalid al-Falih. Il ministro ha affermato che i fondamentali del mercato del petrolio stavano migliorando dopo il raggiungimento dell’accordo tra i paesi Opec e quelli non Opec.
In quel caso, lo scopo era di tagliare la produzione al fine di stabilizzare i prezzi al di sopra della cosiddetta ‘quota psicologica ‘ di 55 dollari al barile. L’accordo si proponeva alquanto strutturato ed era basato sulla richiesta di tagliare 1,8 milioni di barili al giorno, con quote differenti da nazione e nazione. L’accordo avrebbe avuto l’impatto maggiore proprio in Arabia Saudita e in Russia e si era proposto la durata di sei mesi negoziabili già a partire dal prossimo mese di maggio. Il problema principale potrebbe però arrivare dalla Russia, che sembra avere preso le distanze degli addetti ai lavori.
Quale il risultato degli accordi sul prezzo del greggio? Poche sono le certezze, ma una è assoluta, ovvero il costo del petrolio non può che definirsi volatile perché è letteralmente in mano alle decisioni dei singoli stati che vorrebbero nelle intenzioni mirare alla stabilità, ma che si trovano in realtà a soffrire la presenza di paesi che potrebbero non essere d’accordo con le misure prese, soprattutto se andassero a intaccare in forte misura la loro economia di esportazione. La Russia ne è un esempio e altri paesi Opec potrebbero seguire il suo esempio. È quindi naturale che il prezzo del greggio venga considerato volatile, perché volatile è la condizione politica dalla quale dipende.