Il Pantheon a pagamento quando anche gli Dei nel loro piccolo si “incazzano”.
E’ di questi giorni la decisione del Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, di consentire solo a pagamento l’accesso al Pantheon, uno dei più importanti monumenti della storia dell’Arte mondiale, che nell’antica capitale dell’impero romano era dedicato a tutti gli dei (da cui il nome). La scelta è stata giudicata infausta da molti. Replicare al Franceschini-pensiero potrebbe ingenerare una situazione dialogica paradossale che finirebbe con il risolversi nel “Io la penso così. E così sia” (almeno fino a che sarà ancora in carica sarebbe da aggiungere naturalmente). Si potrebbe replicare al ministro citando, come fa il professore T. Montanari, il filosofo tedesco E. Kant (1724 – 1804) secondo il quale: «Tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere sostituito da qualcos’altro a titolo equivalente; al contrario, ciò che è superiore a quel prezzo e che non ammette equivalenti, è ciò che ha una dignità». Per il docente di Storia dell’Arte Moderna della “Federico II” di Napoli, contrario al pedaggio ministeriale, l’altissimo valore culturale del Pantheon è concepibile solo in termini di dignità/identità. Allo stesso modo si potrebbero fare molte analisi formali di tipo storico/architettonico vertenti sul rapporto fra interno dell’edificio e lo spazio esterno come quello dell’antistante piazza e strade; forse addirittura bisognerebbe vedere anzi scorrere in rassegna come gli artisti (pittori, scultori, architetti, etc.) nel corso dei secoli hanno letto ed interpretato quel monumento; forse ancora sarebbe interessante seguire la linea narrativa di Cesare Brandi (1906-1988) – giusto per citare il nome di uno dei maggiori studiosi d’arte che l’Italia abbia avuto, il cui spirito vorremmo aleggiasse ancora fra le pareti delle stanze del ministro – perdendosi in quell’avvincente gioco fra l’esternità dell’interno e per converso l’ internità dell’esterno (perché questo è il rapporto che si instaura in certi casi fra le diverse qualità dello spazio). Il problema è quindi, muovendosi sul piano della massima indulgenza possibile, cosa, in questo caso, possa chiedersi ad un ministro dei Beni Culturali accettando pure come legittimo che egli non conosca E. Kant (o che questi non rientri nei suoi orizzonti culturali) né che pratichi con il disegno lo spazio. Al responsabile di quel ministero si dovrebbe chiedere invece di avere obbligatoriamente una visione ampia così come la sua posizione privilegiata consente solo a lui. A giudicare dai fatti, per quella che è la voce con ricaduta maggiore sui singoli cittadini ovvero le condizioni di accesso (prezzo dei biglietti ed esenzioni) ai monumenti, il ministro D. Franceschini si è mosso in una direzione che potremmo definire del divide et impera. In sostanza si vede tutto in termini estremamente relativi cercando di ricavare il massimo economico da ogni sede (museo, monumento, sito archeologico, etc) perdendo però il punto di vista generale. Un caso tanto eclatante quanto paradossale è rappresentato dalla Reggia di Caserta il cui responsabile, Mauro Felicori (uno dei supermegadirettori di fresca nomina franceschiniana), ha affittato alcuni locali di pertinenza della celebre residenza reale per 80000 euro all’anno (e così per i prossimi 12) al Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop. In queste righe non c’è alcun razzismo nei confronti della mozzarella in Reggia naturalmente ma una riflessione ci scappa. Questo dell’affitto sembra in effetti un grande affare per la Reggia ed il MiBACT cui lo storico edificio appartiene ma solo se lo si valuta in termini relativi, molto relativi come appunto si diceva. Sollevando lo sguardo altre l’orizzonte di M. Felicori si scopre infatti che lo stesso MiBACT paga a privati 18000 euro al mese (216000 annuali) per l’affitto dell’immobile in cui è ospitato l’Archivio di Stato di Caserta. Nello spazio di poche centinaia di metri, nella medesima città, facendo due rapidi calcoli, il MiBACT quindi sprecherebbe, verrebbe da dire, ben 136000 euro (216000 – 80000) di denaro pubblico. Questo è naturalmente il frutto di quell’infausto relativismo cui si accennava. E’ proprio in questo contesto che nasce la volontà ministeriale di far pagare un biglietto di ingresso al Pantheon. E’ sufficiente quindi volare molto più basso, senza ricorre a E. Kant o ad un’analisi degli spazi, per riconoscere quindi la pessima qualità dell’ultima proposta di D. Franceschini.
Ed allora come ne veniamo fuori da questa storia? Al di là di ogni visione panteistica, se, come qualcuno pensa, in ognuno di noi alberga il divino, tanto o poco che esso sia, sarebbe auspicabile invece che il Pantheon rimanesse la sede di tutti gli dei ovvero di ognuno di noi e che ciascuno possa entrare in quel tempio liberamente così come il sole fa ogni giorno attraverso il famoso occhio sommitale.
Fabio A. Grasso
foto tratte da Internet