Taranto – E’ incinta, ma deve rinunciare al piccolo a causa di un secondo cancro. Per la commissione invalidi, dopo la risposta choc era solo un 70%
«Dovresti essere contenta che non puoi gridare». Questo virgolettato, sarebbe la risposta che un medico della commissione invalidi dell’Asl di Taranto, avrebbe dato ad una paziente di 26 anni tarantina, reduce dall’asportazione di un tumore maligno alla tiroide, durante la visita tenutasi lo scorso 7 marzo. Carmela ha 26 anni ed è mamma di due bambini. E’ una ragazza madre, e vive con i suoi genitori, entrambi disoccupati, dopo la fine della relazione con il suo ex compagno. Una storia finita a causa di maltrattamenti. Carmela durante la sua convivenza, ha vissuto nel quartiere Tamburi, proprio a ridosso del siderurgico. Mamma di due piccoli, e dopo una storia d’amore finita male, nel novembre 2015, scopre di essere malata di cancro. Per la precisione, il suo, è un carcinoma maligno alla tiroide. Scoperto in tempo, è stato fortunatamente possibile operarlo. La giovane dunque, si è sottoposta ad un intervento di tiroidectomia. Sua madre, la signora Rosa Volpe, ci racconta che il medico che l’ha operata è stato di un’umanità e competenza meravigliose. Nonostante ciò però, la vicinanza del carcinoma alle corde vocali, ha comportato un danno post intervento: Carmela non riesce più a parlare bene. «Io cerco di non farlo pesare a mia figlia, ma la comprendo a stento quando parla. E’ evidente il disagio nel parlare» ci dice sua madre Rosa.
Da qui, iniziano una serie di pratiche burocratiche sia per quanto riguarda l’invalidità civile che per quanto riguarda l’esenzione ticket 048. La 048 è rivolta ai pazienti oncologici che necessitano di prestazioni sanitarie e farmaci legati al trattamento delle patologie neoplastiche maligne. Dunque, con questo codice di esenzione, i pazienti non dovrebbero pagare né le prestazioni sanitarie, né i farmaci. Ma non è così: c’è comunque una differenza da pagare, a meno che, non si tratti di farmaci generici equivalenti. «Non posso prendere per mia figlia farmaci equivalenti, perché il medico che l’ha in cura ce lo ha sconsigliato. Nonostante l’esenzione, ottenuta dopo ore e ore di fila alla Asl, mi tocca pagare. Io sono disoccupata, mio marito è un pescatore e guadagna 20 euro di tanto in tanto. In casa siamo sette persone. Non ce la facciamo a sostenere queste spese» ci racconta Rosa. Essere malati costa, e costa moltissimo. Proprio per questo motivo, considerata l’urgenza nel curarsi, e le spese a cui far fronte, Rosa consiglia a sua figlia Carmela di presentare domanda per l’invalidità. Così è stato. Lo scorso 7 marzo Carmela viene convocata a visita. Secondo quanto ci racconta sua madre Rosa, che ha assistito alla visita, la ragazza sarebbe stata chiamata davanti alla commissione, e le sarebbero state poste alcune domande, tra cui nome, età e quale fosse il suo disagio. «Mia figlia, seppur con enormi difficoltà ha risposto. Io ho pensato che le stessero facendo quelle domande per rendersi conto effettivamente del problema». Al termine del colloquio però tra Carmela e la commissione, sarebbe successo qualcosa di sconvolgente. Secondo quanto ci racconta la signora Volpe, un medico della commissione, si sarebbe rivolto a sua figlia dicendole: «Non sei contenta che non riesci a parlare bene? Almeno così non puoi gridare». Di questo parlammo sul nostro quotidiano il 10 marzo 2016 (leggi qui).
In seguito a quella visita medica per il riconoscimento della pensione, la ragazza, Carmela, si è sottoposta alla radio terapia nucleare. Sono trascorsi un paio di mesi, e la commissione si è espressa: la ragazza ha ottenuto il 70% di invalidità, percentuale questa, che non le dà diritto alla pensione.
A detta della signora Volpe, le difficoltà che ha sua figlia Carmela, in seguito all’intervento, sono abbastanza serie. «Molto spesso non riesco a comprenderla, e ha grosse difficoltà nel deglutire. Parliamo della mamma di due bambine». Non soddisfatte del parere della commissione, Rosa e Carmela decidono di impugnare il verbale presentando ricorso. Così come la procedura prevede, la ragazza è stata visitata da un medico incaricato dal Tribunale. «Il medico non si è ancora espresso», ci racconta la signora Volpe. La situazione è abbastanza critica. Carmela, ha quasi 27 anni, è madre di due bambine ed è disoccupata, e le visite alle quali si sottopone sono a pagamento, poiché il medico che l’ha in cura e che ha eseguito il primo intervento, opera presso una clinica privata della città.
Come ogni paziente oncologico, si sottopone a controlli medici periodici. Dai primi controlli sembrava procedere tutto per il verso giusto, e nel frattempo resta anche incinta. Giunta quasi al secondo mese di gravidanza, e sottopostasi ad ennesimo controllo medico, scopre che l’incubo si è ripresentato: Carmela ha un tumore maligno alla gola, inizialmente di 7 millimetri, ma che nel corso di due settimane è aumentato di altri 2 millimetri. Non c’è altro da fare secondo i medici, che interrompere la gravidanza e sottoporsi ad un altro intervento per asportare il male.
Carmela questa creatura la voleva, tant’è – come ci racconta sua madre Rosa – che aveva deciso di mandare avanti la gravidanza rinunciando a curarsi. «Voleva far nascere questo bimbo a tutti i costi, rinunciando alla sua vita – ci dice Rosa – ho cercato però di farle capire che noi e soprattutto i suoi due bambini, abbiamo bisogno di lei». Carmela, con un grande peso nel cuore, si è convinta per amore delle sue bambine, e giovedì si sottoporrà all’intervento per l’interruzione di gravidanza. «Oltre al dolore nel vedere mia figlia in queste condizioni, su di noi gravano ancora altre spese per salvarle la vita – dice Rosa disperata – ma la commissione invalidi non ci ha riconosciuto nulla. La penseranno sempre in questo modo, quando faremo loro presente che mia figlia ha di nuovo il cancro?»
Un caso, quello di Carmela, forse sottovalutato. Vinto un primo cancro alla tiroide, che comunque le ha cambiato la vita per sempre, adesso il male si è ripresentato, e cresce velocemente. Sicuramente non sarà facile per Carmela sottoporsi a due interventi. Nel frattempo, giovedì dovrà rinunciare al suo bambino, perché portare avanti la gravidanza corrisponde a non potersi curare. In questa storia, c’è andata comunque di mezzo una vita. E a Taranto tutto ciò è ormai all’ordine del giorno. «Noi di certo non abbiamo fatto domanda per truffare nessuno, o per percepire sostegni economici a vita. Ci aspettavamo almeno quel minimo per affrontare il percorso terapeutico a cui mia figlia deve sottoporsi».
La situazione di Carmela, denunciata da sua madre Rosa, sicuramente non è un caso isolato a Taranto. Tantissime sono le persone che a causa di una situazione economica non rosea, non riescono a far fonte alle cure, e non riescono a sostenere le spese. E se sommiamo a tutto ciò le interminabili liste d’attesa e tutte le prassi burocratiche per chiedere il riconoscimento di un diritto, ci rendiamo perfettamente conto che qualità della vita e della salute, a Taranto è seriamente compromessa. Però una domanda sorge spontanea: nell’Italia dei falsi invalidi, dei privilegi per pochi, e in questo caso nella nostra città, dove inquinamento e conseguenti tumori sono pane quotidiano, cosa bisogna dimostrare per vedere riconosciuto un proprio diritto?