Taranto – Fine della corsa per Beni Culturali e Scienze della Comunicazione. Ma la città la vuole questa Università?
«L’Università è il punto di partenza per un nuovo tessuto sociale e per una Taranto migliore»
A Taranto la cultura si fa pour parler. E su questo non ci sono dubbi. Spesso e volentieri ci si improvvisa detentori di chissà quale grande sapere, cultori di chissà quale scienza e grande verità, promotori di arte, conoscenze, storia e scoperte. Tutto – e sottolineiamo tutto – finalizzato al cambiamento, alla rinascita di questa città, vessata dall’incapacità politica in primis, e dall’inerzia in secondo luogo, ignorando completamente, che senza conoscenza scientifica non si può fare cultura. E quando parliamo di conoscenza, è proprio qui che entra in gioco il ruolo fondamentale dell’Università.
Taranto non ha una Università autonoma, ma il dipartimento jonico esiste e funziona. Questo è quello che ci tiene a sottolineare il professor Riccardo Pagano, docente di pedagogia, tarantino, raggiunto dal nostro giornale. Uno di quei docenti, che insieme agli studenti del corso di laurea in scienze della comunicazione e dell’animazione socio – culturale, in questi anni, ha fatto sentire la propria voce. Non è sicuramente calato un sipario sull’Università di Taranto, in quanto i corsi ci sono, e funzionano anche bene. Ci sono i corsi che fanno capo al Dipartimento jonico (Giurisprudenza, Economia triennale e magistrale, Scienze e gestione delle attività marittime), professioni sanitarie (tre corsi di laurea da Scuola di Medicina), più Scienze ambientali e informatica digitale da dipartimenti di Bari. In tutto circa 4000 studenti. Taranto però, perde i corsi di laurea in Beni Culturali e Scienze della Formazione, e li perde nonostante vi siano studenti ancora iscritti e che saranno costretti a sostenere esami e a laurearsi a Bari. Il 2 marzo scorso, Taranto ha ospitato l’ultima seduta di laurea; le prossime, previste a partire da luglio 2016, si terranno a Bari. I corsi sono arrivati alla chiusura perché mancano risorse per i docenti. L’università però c’è, e se è presente sul territorio, è proprio grazie all’Università degli studi di Bari che in questi anni lo ha permesso.
«L’Università esiste» ci dice il professor Pagano. «Taranto parla, parla e parla di università. Ma poi manca l’impegno concreto. L’Università è un bene pubblico, e in una realtà come Taranto, che non ha una sede autonoma, dovrebbero intervenire gli enti locali, come è successo in altre città».
In effetti, se pensiamo a Brindisi ad esempio, il territorio si è impegnato affinché la città non perdesse il corso di laurea in Economia, investendo sull’Università. Questo a Taranto non avviene. Non avviene nella città, in cui i cittadini sono costretti a pagare anche gli errori di valutazione di un’amministrazione poco attenta. Un’amministrazione, che in quanto espressione di comunità, avrebbe dovuto rendersi protagonista di un’offerta formativa. E invece no, e se qualcosa è stato dato al dipartimento jonico, sono state date solo briciole, e pure molto in ritardo, quando in realtà, dopo aver speso circa 20 milioni di euro per l’AMIU, poteva essere ritagliato anche solo un milione di euro per l’Università. Per impedire che tarantini con la volontà di intraprendere un percorso di studi in campo umanistico, dovessero spostarsi altrove, privando la città di eccellenze, di talenti e di conoscenza scientifica. La cultura non va solo annunciata, e soprattutto non si improvvisa. La cultura andrebbe potenziata e supportata, ma Taranto nelle sue mille contraddizioni, ha solo cagionato un danno ai figli di questa città. Il problema è solo e soltanto politico, di una politica poco attenta alle esigenze della città e molto attenta ai propri interessi. Forse alla politica tarantina sta anche bene questa situazione. Forse ai nostri politici piace avere la fila all’esterno del proprio ufficio, di gente che chiede aiuto per una casa o per un lavoro, perché queste persone, che il proprio futuro non riescono a costruirlo, sono espressione di voto. E si accontentano di questo i nostri politici, di aiutare demagogicamente chi non ce la fa ad affrontare la vita di tutti i giorni, rasentando il voto di scambio. Perché una città acculturata, colma di conoscenza scientifica, forse questo non lo permetterebbe. Perché investire sulla cultura, potenziando l’università, renderebbe la città capace di pensare con la propria testa. E una città che pensa con la propria testa fa paura. Quindi a Taranto, quando si parla di Università, di cultura come bene imprescindibile, come punto di partenza per la rinascita della città, bisognerebbe chiedersi: ma Taranto questa Università la vuole davvero? Cosa è disposta a fare per l’Università? C’è un impegno concreto per sostenerla? E ci piacerebbe tanto sapere, se chi si avvia a voler amministrare questa città, il prossimo anno, si sia posto il problema, se abbia pensato all’Università. «La chiusura di Beni Culturali e Scienze della Formazione a Taranto è un vero scandalo, dal punto di vista culturale e sociale» ci riferisce Salvatore Capparelli, studente di Taranto e rappresentante degli studenti di scienze della comunicazione e dell’animazione socio – culturale di Taranto. «In due anni abbiamo scritto, abbiamo cercato di far sentire la nostra voce. E in tutto ciò non abbiamo avuto mai un aiuto, mai un supporto. Solo silenzio da parte della classe politica tarantina, che in tutta questa storia è il vero problema». L’Università è presente, è viva, ma chi dovrebbe intervenire sulla città e sulla cultura non lo fa. Gli studenti in più occasioni hanno cercato di smuovere le acque e di far sentire la loro voce. Ma nulla, non sono stati mai ascoltati. «Io devo ringraziare il professor Pagano – continua Capparelli – per l’impegno che da tarantino innamorato della propria città, ha profuso per l’Università. E noi continueremo, io e lui, fianco a fianco, a combattere per un’Università migliore».
Elena Ricci dal Settimanale PugliaPress