Taranto – Liberi e Pensanti: “Nono decreto a discapito della salute”
Gennaio 2016, terzo Governo non eletto dal popolo, nono decreto per salvaguardare la fabbrica e il profitto a discapito della salute, del lavoro e della città di Taranto.
Dopo le tante promesse, i precedenti decreti, non ultimo quello con cui si permette agli attuali tre amministratori straordinari, di continuare a uccidere lavoratori e cittadini a norma di legge, il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti non vuole più continuare a essere preso in giro così come accaduto in questi ultimi anni.
Fino a oggi la nostra posizione non è mai mutata, noi viviamo la fabbrica e la città quotidianamente, sappiamo perfettamente che tutte le opere fin qui decantate in favore dei fantomatici lavori di messa in sicurezza e di allineamento all’A.I.A., sono state soltanto in piccola parte eseguite, fungendo da specchietto per le allodole. Non è un caso che l’autorizzazione integrata ambientale sia slittata al giugno 2017, a dimostrazione che tutti i soldi dei contribuenti, fin qui stanziati e spesi, sono serviti per garantire esclusivamente le banche e per allungare l’agonia dello stabilimento.
Ancora oggi, chi si esprime proponendo soluzioni lo fa senza cognizione di causa, un esempio su tutti il Presidente della Regione Puglia Emiliano, che va sbandierando la decarbonizzazione dell’Ilva in favore del preridotto.
Specifichiamo che in un’acciaieria a ciclo integrale come quella dell’Ilva di Taranto, non è considerabile fattibile una riconversione da forno a carbone, a forni elettrici che funzionerebbero con gas metano, date anche le dimensioni degli altiforni.
In questo momento in fabbrica, dei cinque altiforni, uno è stato dismesso nel 1993, mai bonificato e rimasto come reperto archeologico per future generazioni; l’altoforno cinque, il più grande d’Europa, è ormai spento da circa sei mesi, mentre in questo periodo gli altiforni in marcia (1, 2 e 4), richiedono un fabbisogno giornaliero di sette/ottomila tonnellate di Carbon Coke. Il Carbon Coke per soddisfare il fabbisogno giornaliero è prodotto per due terzi dalle batterie in marcia (settima e ottava, undicesima e dodicesima) mentre il restante è acquistato da fornitori terzi. Il fossile di cui sopra permette di sviluppare un potere calorifero di oltre mille gradi e soprattutto permette di mantenere tale temperatura costante.
Il presidente Emiliano, o chi per lui, si è mai chiesto quanti metri cubi di gas sarebbero necessari per sostituire il Carbon Coke e mantenere lo stesso livello produttivo? L’Italia, com’è noto, non possiede riserve di gas, lo importa.
Il preridotto, in gergo denominato “spugna di ferro”, è costituito da almeno 85% di ferro metallico, per il 10% di ossido di ferro e la restante parte da una frazione di inerte (ossidi di calcio, silicati, alluminati).
A seguito di tutte le osservazioni che sono state fatte sul preridotto, che andrebbe ad abbassare l’impatto ambientale riducendo unicamente la produzione di agglomerato, nulla è stato fin qui considerato circa lo scarico e il trasporto del materiale per cui lo stabilimento di Taranto non è attrezzato, poiché i nastri trasportatori sono funzionali unicamente al trasporto di fossile e minerale.
A supporto di ciò che rendiamo oggi pubblico, c’è che da prove già effettuate con il trasporto del preridotto su tramogge e nastri, sono sorti diversi problemi, per questa ragione il materiale è scaricato dalle navi, per mezzo delle gru, sulle banchine e introdotto attraverso il trasporto su gomma nello stabilimento. Per quanto concerne la produzione, integrando piccole percentuali di preridotto e diminuendo l’agglomerato, abbatteremmo di poco la produzione di diossina ma continueremmo a produrre benzene, toluene, xilolo, idrocarburi e polveri di coke.
Non si può credere alle promesse di questo governo che in tre anni non ha ottemperato alle prescrizioni dell’A.I.A., prolungando di decreto in decreto i tempi per la definitiva realizzazione della stessa che non avrebbe portato alcun beneficio in termini ambientali, figuriamoci se potremmo credere nella riconversione di uno stabilimento vecchio di sessanta anni a ciclo integrale in un’acciaieria a forni elettrici alimentati da gas che comporterebbe l’abbattimento di tutti gli altiforni, le cokerie e gli agglomerati e un rilevante ridimensionamento dell’attuale forza lavoro.
Ci sembra davvero illogico che in nove decreti non si faccia mai menzione alla tutela dei lavoratori, eppure ancora oggi in quella fabbrica si lavora quotidianamente a contatto con le fibre di amianto oltre che, ai tanti altri cancerogeni.
Nel 1992 con la legge 27 marzo n.257 furono sancite le norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto.
Con l’art. 47 legge 24 novembre 2003 n.326 furono stanziati dal Governo i benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto. Dal 1992 in poi, sono illegali tutte quelle aziende in cui è presente amianto non incapsulato. In particolare, negli impianti presenti in Ilva non sarebbe possibile incapsulare la fibra killer, l’unica soluzione adottabile potrebbe essere l’abbattimento e il rifacimento dell’intero impianto.
Nel maggio 2014, il Tribunale di Taranto, con sentenza n.1431/2014, infligge 189 anni di carcere a ventisette ex dirigenti dell’Italsider di Stato e dell’Ilva privata, ritenuti responsabili della morte di numerosi operai deceduti per patologie derivanti dall’esposizione a fibre di amianto, presenti nella fabbrica. Dal processo emergeva, inoltre, che la bonifica della fibra killer, presente “in ogni angolo” dello stabilimento, “era avvenuta attraverso la tecnica della cosiddetta ‘glove bag’, adeguata solo per l’asportazione di piccole quantità di amianto e quindi non certo indicata per le esigenze dell’Ilva”, che era invece tenuta a rimuoverne migliaia di tonnellate. Il Giudicante, dunque, “bolla” come “discutibilissima” la politica aziendale tenuta dall’Ilva, le cui scelte in materia erano “improntate al più rigoroso risparmio, ulteriormente dimostrato dalla scarsa competenza e professionalità delle ditte a cui veniva commissionata la bonifica”.
La tecnica “Glove Bag” (celle di polietilene, dotate di guanti interni per l’effettuazione del lavoro), è indicata nel caso di limitati interventi su tubazioni rivestite di amianto per la rimozione di piccole superfici di coibentazione (ad es. su tubazioni o valvole o giunzioni o su ridotte superfici o oggetti da liberare per altri interventi). La tecnica glove-bag non è utilizzabile per tubazioni di grosso diametro e/o temperatura superiore a 60 °C o per la bonifica di grandi strutture coibentate. Non è quindi adatta per impianti di grandi dimensioni come l’Ilva di Taranto.
Dalla stessa sentenza si evince che gli stessi decessi, ritenuti eziologicamente riconducibili alle condotte degli imputati, vanno datati al gennaio 2010, ma il problema della presenza massiccia dell’amianto all’interno dello stabilimento è ancora tragicamente attuale.
A supporto di tale affermazione, facciamo notare che da quando con un apposito decreto, il Governo ha dato il nulla osta definitivo a due discariche interne al siderurgico, in Località Mater Gratiae, una per rifiuti pericolosi e una per rifiuti speciali, evitando la proceduta di autorizzazione integrata ambientale, sarebbero aumentati notevolmente gli smaltimenti di amianto nella discarica interna eliminando quindi l’utilizzo della tecnica del “Glove Bag”.
Ricapitolando: fino al 2010, così come da sentenza del Tribunale di Taranto, l’amianto era smaltito con un metodo non adatto per impianti come quelli dell’Ilva di Taranto e per tale motivo sono stati condannati ventisette ex dirigenti, dal 2010 al 2013 non è dato ancora sapere se l’amianto presente in fabbrica fosse smaltito e come, certo è che i lavoratori continuavano a lavorare in sua presenza, mentre dal 2013 con apposito decreto governativo, attraverso il quale si bypassava l’A.I.A., sono autorizzate due discariche per rifiuti pericolosi e per rifiuti speciali; ciò permette all’Ilva dal momento in cui il decreto entra in vigore, di scaricare la fibra killer nella discarica interna.
Sempre nel maggio 2014, a seguito della sentenza del Tribunale di Taranto, l’ex commissario governativo dell’Ilva, dr Enrico Bondi, incontrava le segreterie nazionali di Fim, Fiom e Uilm per sottoporre loro il piano industriale dell’azienda. Come si evince dal comunicato stampa diramato dalla Fim Cisl, in Ilva sono previsti “1300 interventi su amianto” da realizzarsi entro il 2016. Da un censimento effettuato da Ilva e aggiornato al 30 giugno 2014, l’amianto è presente nei seguenti impianti: Agglomerato 1 (impianto dismesso, linee A e B); Sottoprodotti (impianto dismesso); Batterie 1 e 2 (impianto dismesso); AFO 1 (impianto vento caldo toro e collettore) e cowpers; AFO 2 (impianto vento caldo toro e collettore) e cowpers; AFO 3 (impianto dismesso); AFO 4 (cowpers); AFO 5 (cowpers); QUA LAM LAB; Acciaieria 1, piano convertitori; Bra (impianto dismesso); ERW; Laminatoio a freddo; Cabine, sottostazioni e carriponte; Carroponte 68 e 14 della CCO5 ed ex BRA 1; FOP carroponte “pinza 0” (impianto dismesso); COB 1 (tubazioni dismesse); ENE – Ponte nastro; ACCIAIERIA – Tubazioni dismesse e guarnizioni c/o piazzale verniciatori, capannone ex FOP 2 e Centralina Nafta; CCO 4 – PULPITO TAGLIO; IMA2/EST III Sporgente; ENE – sala pompe OCD III sporgente (impianto dismesso). Tale censimento è sicuramente parziale in considerazione della necessità, rappresentata dall’ex Commissario Bondi, di effettuare ben 1300 interventi su amianto che non possono non riguardare anche impianti diversi da quelli appena menzionati.
Nel maggio 2015, a distanza di un anno, con un documento a firma dei tre commissari straordinari (Carrubba, Laghi e Gnudi), su richiesta degli Onorevoli D’Amato, Evi, Ferrara e Pedicini, Ilva in amministrazione straordinaria, rispondeva che vi era presenza di amianto in quaranta impianti/reparti e che nel frattempo si provvedeva agli interventi necessari.
Il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, il 3 ottobre 2014, presentava esposto alla Procura della Repubblica di Taranto contro Ilva denunciando la presenza di amianto nello stabilimento così come dichiarato dall’ex commissario straordinario Dr Bondi.
Il 15 settembre 2015 e il 10 ottobre 2015, i Liberi e Pensanti, presentavano ulteriori due esposti alla Procura della Repubblica di Taranto contro Fim/Cisl, Uil/Uilm e Fiom/Cgil in merito all’art.50 decreto legislativo n.81/08 per la mancata applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute dei lavoratori.
Solo per questo motivo la fabbrica sarebbe da considerarsi illegale e andrebbe chiusa.
Lo scellerato commissariamento, potrebbe aver prodotto circa due miliardi di perdite? Siamo certi che non ricadranno sui contribuenti italiani? Quale soluzione adotterà lo Stato per evitare le procedure d’infrazione da parte dell’Europa? Chi pagherà i debiti di Ilva? Chi pagherà i debiti della gestione commissariale del primo commissariamento? Chi pagherà i debiti della gestione fallimentare? Li pagherà il nuovo privato o saranno a carico dei contribuenti italiani? Si parla unicamente di New Company, ci sarà quindi anche una Bad Company? Cosa andrà in una e cosa nell’altra?
Lo Scellerato e impunibile commissariamento non ha minimamente considerato la tutela dei lavoratori, come dimostrano gli infortuni e le morti che si sono succeduti a un ritmo inaccettabile in un’azienda che addirittura sarebbe la punta di diamante dell’industria italiana ed europea. L’unica via d’uscita che garantirebbe salute e lavoro, sarebbe l’utilizzo di fondi pubblici e privati, per la bonifica, la riconversione e per le garanzie di reddito per tutti i lavoratori. Per fare questo, occorre che le parti sociali e i cittadini di Taranto, si riuniscano per programmare un alternativo modello economico che punti sulla valorizzazione e sulla salvaguardia delle risorse del territorio e a un benessere distribuito. Un governo che rappresenta la gente invece di garantire le banche e socializzare le perdite, perseguirebbe tale scelta.
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