ILVA: nuovi acquirenti all’orizzonte. Una boccata d’ossigeno per i lavoratori a rischio
Mai si era pensato di arrivare a questo punto a Taranto. Ma le cose, per l’Ilva, nella loro tragicità, forse stanno per cambiare, dato che il commissario Gnudi sta lavorando sodo per cercare di dare una proprietà all’Ilva. E’ infatti da lodare quello che il commissario sta svolgendo, impegnandosi a livello governativo per mantenere in piedi il colosso dell’acciaio italiano.
La paura è che se il Gip Todisco, la quale ha reiterato alla Procura la richiesta di prendere seri provvedimenti sulle emissioni inquinanti affermando che il crono programma AIA non è rispettato, gli stipendi di novembre per gli operai potrebbero non essere erogati. In generale la situazione finanziaria è tragica: stanno terminando i 125 milioni di euro erogati dalle banche come prestito ponte. Le banche, prima di erogarne altri 125, vorrebbero chiarezza. Nel frattempo si apre uno spiraglio: Gnudi ha ottenuto la richiesta di accedere agli 1,2 miliardi di euro appartenenti al patrimonio della famiglia Riva (sequestrati tempo fa) da impiegare per il risanamento. In tal senso questa è una boccata di ossigeno per l’azienda che potrebbe così affrontare i costi per il risanamento anche se in realtà ne servirebbero, per l’AIA, 1,8 milioni di euro.
Ma occorre fare il punto sulla questione osservando la faccenda con un “raggio più ampio” d’analisi: l’Ilva è la più grande azienda produttrice d’acciaio in Italia in grado di reggere con competitors internazionali; ma dopo le vicende giudiziare, quindi la procura con le due perizie, e alcuni impianti bloccati, vi è stata una conseguente risonanza mediatica, e a goderne sono state le produzioni dell’acciaio estere. Il centro studi Siderweb, infatti, ha registrato che da gennaio a novembre del 2013 le importazioni dell’acciaio dall’UE sono state di 4.571 milioni di tonnellate. Complessivamente le importazioni di coils sono passate dai 2,968 milioni di tonnellate ai 4,062 milioni. In pratica Taranto si è bloccata: l’acciaio non lo comprano più a Taranto. I primi a goderne, del fallimento tarantino, sono stati i francesi, esportando in Italia 225 mila tonnellate di acciaio in più rispetto all’anno scorso, e poi i tedeschi, che hanno inglobato 211 mila tonnellate di una quota di mercato.
L’Ilva pertanto agli occhi dei potenziali acquirenti appare una struttura organizzativa debolissima di cui non ci si può fidare. L’unica ancora di salvezza sembrerebbe essere l’Arcelor Mittal (il colosso industriale mondiale leader nel settore dell’acciaio il cui quartier generale si trova nella capitale del Lussemburgo) il quale sta predisponendo una lettera di intenti contenente la cifra che il gruppo è disposto a spendere per acquistare l’Ilva. In alternativa ci sarebbe una newcompany , a cui il gruppo Arvedi conferirebbe parte dei suoi asset. Gnudi spera di ricevere le offerte dalle due cordate entro la fine di novembre. Ma quella di Arcelor Mittal sembra essere forse quella più concreta.
Ben vengano gli investitori stranieri, quindi, ad aumentare il capitale anche sociale. Anche se la nostra carta costituzionale potrebbe, in virtù di quell’art. 42 (l’esproprio del privato per interessi generali) garantire al Governo una maggiore razionalizzazione del problema esistente a Taranto (magari vendendo l’Azienda in un momento successivo alla definizione di regole ferree sul versante ambientale per il nuovo acquirente, e creando maggiore attrattività mediante politiche fiscali meno impositive – oltre alla definizione di uno scenario politico più stabile), per evitare gli sbagli commessi in passato, ovvero la svendita per poche lire e l’incapacità della classe politica di poter far fronte a quello che le associazioni ambientaliste andavano rilevando.