Il Comitato dei garanti dice di sì a 3 quesiti su 5 proposti da Taranto Futura ma Confindustria storce il naso
I REFERENDUM: Volete voi cittadini di Taranto, al fine di tutelare la vostra salute, nonché la salute dei lavoratori contro l’inquinamento, proporre la chiusura dell’Ilva? II REFERENDUM: Volete Voi cittadini di Taranto, al fine di tutelare la Vs. salute e quella dei lavoratori, proporre la chiusura dell’area a caldo dell’Ilva, maggiore fonte di inquinamento, con conseguente smantellamento dei parchi minerali? III REFERENDUM: Volete voi cittadini che il Comune di Taranto chieda all’llva S.p.A. il risarcimento dei danni, in seguito alla condanna definitiva da parte della Corte di Cassazione dei responsabili del citato impianto siderurgico per inquinamento ambientale, tenendo presente che gli interessi diffusi, come quelli dell’ambiente e della salute, non possono essere oggetto di accordo da parte dell’Ente locale, così come sancito dalla Corte di Cassazione e dalla magistratura amministrativa?
Sono questi i 3 quesiti referendari consultivi ( su 5 iniziali) presentati e valutati dai garanti scelti dal comune di Taranto promossi da Taranto Futura. Il primo quesito riguarda l’ipotesi di chiusura totale dell’Ilva, il secondo di chiusura parziale e il terzo di richiesta di risarcimento danni per l’avvenuto inquinamento. Gli elettori saranno chiamati a dire la loro entro dicembre. Ora lo scoglio più grosso che l’avvocato Nicola Russo di Taranto Futura dovrà superare è quello di raccogliere entro 90 giorni 3mila firme. Finalmente i cittadini potranno essere protagonisti del loro futuro e decidere se volere o no il siderurgico in terra propria.
Si è pronunciato sulla decisione presa dal Comitato dei garanti, il presidente Luigi Sportelli di Confindustria Taranto con una nota inviata a tutti i mass media. Confindustria con queste parole boccia il referendum sulla chiusura totale o parziale dell’Ilva.
«Soluzioni drastiche ma alternative inesistenti: sono queste le logiche che animano i quesiti referendari sull’Ilva sui quali i tarantini potrebbero essere chiamati ad esprimersi qualora si raccogliessero le firme necessarie. I promotori del referendum vorrebbero risolvere con la chiusura dello stabilimento siderurgico il gravissimo problema ambientale che da decenni affligge i tarantini, ma a conforto delle logiche semplicistiche su cui regge lo strumento referendario non si intravedono alternative serie, poderose e soprattutto credibili». «Respingiamo con forza l’iniziativa, ritenendo scellerato il tentativo di far leva sulla buona fede e sul diffuso senso di esasperazione di tanti cittadini. Non è con la chiusura dell’Ilva che si affrontano i problemi di un territorio. L’equazione Ilva chiusa e città risanata – spiega Confindustria – è un’utopia pericolosa su cui più che le parole dovrebbero parlare i fatti. Il centro siderurgico, sul quale peraltro è in corso un processo di risanamento che deve a tutti i costi continuare e completarsi, esprime ancora adesso il 75 per cento del Pil cittadino, e attorno ad esso opera un poderoso indotto fatto di piccole e medie imprese che nell’ipotesi di chiusura rischiano di soccombere assieme alla grande industria». «Sullo sfondo c’è una città in ginocchio, letteralmente devastata da una crisi che sta producendo moltitudini di cassintegrati e disoccupati e che ogni giorno fa registrare livelli altissimi e preoccupanti di tensione sociale. La città sta scontando a caro prezzo gli effetti di una crisi che è tutt’altro che superata. E’ pertanto a dir poco irresponsabile, oggi, proporre ai cittadini presunte soluzioni di risanamento ambientale spacciandole come unico rimedio possibile all’inquinamento, continuando a far finta di ignorare cosa una scelta del genere produrrebbe in termini di nuova disoccupazione. Si dimentica – aggiunge Confindustria – l’opera portata avanti dalla Regione scaturita con la legge antidiossina, si vanifica quell’operazione di intelligence che tutta la città, attraverso le istituzioni e le associazioni e con una rinnovata coscienza etica ed ambientale, ha costruito a fatica negli ultimi anni». «Noi crediamo – conclude Confindustria – che tutto questo patrimonio non debba essere perduto solo in nome di una presunta battaglia di civiltà, che rischia seriamente, invece, di produrre altre fratture. Siamo convinti che chi ha istituzionalmente la responsabilità delle sorti del territorio debba esprimersi inequivocabilmente, nell’uno o nell’altro senso, in nome di una chiarezza che è indispensabile per il futuro della città»
Antonello Corigliano