CONFINDUSTRIA TARANTO CONTRO IL REFERENDUM SULLA CHIUSURA ILVA
Soluzioni drastiche ma alternative inesistenti: sono queste le logiche che animano i quesiti referendari sull’Ilva sui quali i tarantini potrebbero essere chiamati ad esprimersi qualora si raccogliessero le firme necessarie. I promotori del referendum vorrebbero risolvere con la chiusura dello stabilimento siderurgico il gravissimo problema ambientale che da decenni affligge i tarantini, ma a conforto delle logiche semplicistiche su cui regge lo strumento referendario non si intravedono alternative serie, poderose e soprattutto credibili. E’ per questo che Confindustria respinge con forza tale iniziativa, ritenendo scellerato il tentativo di far leva sulla buona fede e sul diffuso senso di esasperazione di tanti cittadini. Non è con la chiusura dell’Ilva che si affrontano i problemi di un territorio, e non possono essere le scelte drastiche ed irreversibili a risolvere problemi così grandi. L’equazione Ilva chiusa e città risanata è un’utopia pericolosa su cui più che le parole dovrebbero parlare i fatti. Il centro siderurgico, sul quale peraltro è in corso un processo di risanamento che deve a tutti i costi continuare e completarsi, esprime ancora adesso il 75% del Pil cittadino, e attorno ad esso opera un poderoso indotto fatto di pmi che nell’ipotesi di chiusura rischiano di soccombere assieme alla grande industria. Sullo sfondo c’è una città in ginocchio, letteralmente devastata da una crisi che sta producendo moltitudini di cassintegrati e disoccupati e che ogni giorno fa registrare livelli altissimi e preoccupanti di tensione sociale. Dalla Confindustria di Taranto passano pressoché quotidianamente storie di piccole e grandi aziende in sofferenza, di posti di lavori persi e di procedure di cassa da avviare. La situazione, che almeno a guardare agli ultimi vent’anni non ha precedenti, è allo stesso tempo frutto di una crisi internazionale ma anche di inevitabili processi di riconversione produttiva ai quali molte aziende non hanno ottemperato; è allo stesso tempo conseguenza di criteri ad alta rischiosità applicati in passato o al contrario della totale mancanza di scelte innovative che oggi più che mai, invece, il mercato richiede. Quali che siano le motivazioni, insomma, la città sta scontando a caro prezzo gli effetti di una crisi che è tutt’altro che superata. E’ pertanto a dir poco irresponsabile, oggi, proporre ai cittadini presunte soluzioni di risanamento ambientale spacciandole come unico rimedio possibile all’inquinamento, continuando a far finta di ignorare cosa una scelta del genere produrrebbe in termini di nuova disoccupazione. Ma non è tutto. Si dimentica l’opera portata avanti dalla Regione scaturita con la legge antidiossina, si vanifica quell’operazione di “intelligence” che tutta la città, attraverso le istituzioni e le associazioni e con una rinnovata coscienza etica ed ambientale, ha costruito a fatica negli ultimi anni. Noi crediamo che tutto questo patrimonio non debba essere perduto solo in nome di una presunta battaglia di civiltà, che rischia seriamente, invece, di produrre altre fratture ignorando totalmente i troppi problemi che la città deve risolvere. Siamo convinti, inoltre, che chi ha istituzionalmente la responsabilità delle sorti del territorio debba esprimersi inequivocabilmente, nell’uno o nell’altro senso, in nome di una chiarezza che forse mai come in questo momento è indispensabile per il futuro della città.